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Ombre su Torino

La tragedia di Maria Teresa Francese: una vita segnata da violenza, inganno e solitudine

Dalla speranza all’abisso: la storia vera di una donna torinese che cercava solo amore e trovò invece sfruttamento, dolore e morte. Un delitto rimasto senza colpevole, tra le ombre di una città che tace

Maria Teresa ha smesso di sorridere da anni.

La tragedia di Maria Teresa Francese: una vita segnata da violenza, inganno e solitudine

Sofferenza.

Condizione tormentosa provocata dall'assiduità del dolore. O anche, arcaicamente, sinonimo di sopportazione, pazienza, dal tardo latino sufferentia. Sostantivo femminile.

Questa è una vicenda di tremenda sofferenza, declinata al femminile.

Della sua prima protagonista non conosciamo neppure il nome, anche se, ai fini strettamente narrativi, l'informazione non è essenziale. Si tratta di una donna di 55 anni che, tuttavia, sembra dimostrarne almeno dieci di più e che abita in via Fossata 92, a Torino.

Casalinga, ha avuto quattro figli – due maschi e due femmine – ed è vedova da circa due anni. I suoi ragazzi hanno iniziato a lavorare appena terminate le scuole e se ne sono andati di casa molto presto, ma lei non è rimasta sola. A farle compagnia, fin dalla nascita, c’è Maurizio, suo nipote.

Il motivo per cui il bambino, che al momento dello svolgimento dei fatti ha sei anni, vive con la nonna è legato, anche se indirettamente, alla morte del marito di lei. Per collegare i puntini è necessario introdurre Maria Teresa.

Trent’anni, madre di Maurizio, Maria Teresa trascorre un’infanzia e un’adolescenza serene. Poco più che maggiorenne, trova un impiego prima in una tabaccheria di fronte alla caserma Cernaia e, successivamente, come cameriera in un ristorante in corso Mediterraneo.

Un primo grave trauma la colpisce nel 1959, a 23 anni. Si innamora di un uomo che le promette di sposarla, la mette incinta (di Maurizio) e poi, improvvisamente, la abbandona. Non sappiamo il nome dell’individuo, né perché tutto ciò sia accaduto, né le motivazioni profonde della sua successiva scelta, ma, parallelamente alla sua vita "ufficiale", Maria Teresa inizia a prostituirsi.

Lo fa a tempo perso, probabilmente solo per arrotondare i magri guadagni o, forse, per lasciarsi alle spalle quel dolorosissimo addio che, però, non le ha fatto perdere la speranza di un’esistenza felice.

Dopo un paio d’anni, infatti, incontra un giovane originario del Genovese di cui si innamora follemente e, questa volta, sembra quella buona. I due trovano casa, acquistano i mobili, fissano la data delle nozze, ma, incredibilmente, per la seconda volta Maria Teresa viene lasciata praticamente sull’altare.

Da quel momento nessuno la vedrà più sorridere.

Arriva l’estate del 1963 e il suo incontro con un ventunenne di nome Gino Bondesan. Questi, muratore originario della provincia di Rovigo, la corteggia e, anche lui, riesce a fare breccia nel suo cuore già dilaniato. È impressionante notare come l'esistenza di questa ragazza sembri ripetersi circolarmente, come se un invisibile burattinaio ne tirasse i fili.

Maria Teresa lascia la casa materna, va ad abitare con Gino in via Lisa e, dopo un anno, resta di nuovo incinta. Questa volta il piccolo, poco dopo la nascita, viene affidato all’Istituto per l’Infanzia di corso Giovanni Lanza. Il motivo è che, non appena ha scoperto che la fanciulla si guadagna da vivere anche "battendo" le strade, Bondesan ha deciso di abbandonare i cantieri per diventare a tempo pieno il suo sfruttatore.

Non c’è spazio per prendersi cura di bambini, né per avere pietà dei suoi genitori. In particolare, il padre di Maria Teresa trascorre mesi interi, ogni giorno, a pregare l’uomo (anche, letteralmente, in ginocchio) di lasciarla in pace, di smetterla di approfittarsi della figlia, ma senza successo. Lo stress legato a questa situazione gli è fatale: nel 1964 muore di crepacuore.

Maria Teresa ormai ha smesso di sorridere da anni.

Trascorre i pomeriggi da sola in un bar di corso Tortona 26, beve qualche caffè, fuma tantissime sigarette e poi spinge 3/400 lire nel juke-box. Fa suonare canzoni sentimentali e si mette a piangere. Normalmente esce verso le 18, va a mangiare al vicino ristorante Eroico e poi raggiunge la sua "zona".

Si prostituisce nei dintorni del Cimitero Monumentale, dalla parte del Lungo Dora. Non ha amiche e, anzi, spesso è picchiata dalle altre "lucciole" che non intendono spartire il territorio con lei. Una sera, addirittura, sviene per il freddo e nessuna delle colleghe la aiuta. La salva dall’assideramento il custode del cimitero che la fa trasportare all’ospedale San Giovanni in ambulanza. Quando torna sotto il suo solito lampione, gli confessa: "non ne posso più, questa vita mi ammazza, devo smettere".

Sembra quasi ovvio specificarlo, ma le botte le riceve anche da Bondesan. Lui le mette le mani addosso quando non guadagna abbastanza, la accusa di nascondergli i soldi; spesso è stato visto farla salire in macchina per poi spogliarla completamente alla ricerca del presunto bottino celato.

È per questo che, nel maggio 1965, Maria Teresa trova il coraggio di denunciare Gino. Va dai carabinieri, racconta tutto, arriva all’udienza davanti al giudice. Qui, però, chissà se per paura o per un distorto "amore", ritratta ogni accusa. Risultato: viene condannata a quattro mesi per calunnia.

L’unica persona che sembra provare pietà per lei è un’altra "mondana". Non sono amiche, si conoscono appena di vista. A legarle, probabilmente, è soltanto l’inconscia condivisione di un’estrema miseria.

La donna si chiama Maria Mistrulli, ha 40 anni, 10 figli (di cui 9 in istituto) e uno con cui vive all’estrema periferia di Torino, in strada Altessano.

Quando il 18 gennaio 1966 viene trovato il corpo senza vita di Maria Teresa Francese in strada Arrivore, alle Basse di Stura, è l’unica a farsi avanti.

L’assassino l'ha prima stordita tirando fortissimo una catenella che portava al collo e poi l'ha uccisa facendole sbattere violentemente la testa per terra. Poi, per ritardarne l’identificazione, ha preso un masso pesante circa trenta chili e lo ha lasciato cadere sul viso della vittima. Maria Teresa viene trovata con indosso un vestito scozzese a scacchi blu e neri, un golfino nero e una corta giacchetta della stessa stoffa dell’abito, calze di nylon e stivaletti corti e neri. Il corpo era con le vesti scomposte e le mutandine avvolte alla gamba destra. L’autore di tale scempio le ha anche rubato la borsetta e ha strappato la sua carta d’identità, che viene ritrovata a pezzi a 800 metri di distanza.

Interrogata, Maria Mistrulli va a colpo sicuro: l’ha visto coi suoi occhi, è stato Gino Bondesan. Ha visto i due litigare, lui che le urla di salire in macchina e che, all’ennesimo rifiuto, la schiaffeggia violentemente e la carica a forza sul veicolo. Oltretutto è la stessa testimone ad aver riferito che, normalmente, Bondesan perquisiva in auto Maria Teresa perché sospettava che si tenesse una parte dei proventi del suo lavoro.

Sembra tutto tornare, come in tante storie simili a questa. Poi, però, il 6 aprile 1966, durante un sopralluogo, la Mistrulli si rimangia tutto. Non era lì, era a casa, si era inventata ogni cosa. Non si è mai capito né perché abbia prima accusato Bondesan né perché poi abbia ritrattato.

Gino Bondesan, il 7 settembre 1966, non essendoci prove a suo carico per quanto riguarda l’omicidio, viene condannato "solamente" a 6 anni di reclusione e 2 di casa di lavoro per sfruttamento aggravato da violenza.

L’assassino di Maria Teresa Francese non è mai stato trovato.

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