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Focolaio di tubercolosi al “Neruda” occupato di Torino: almeno sei casi accertati

L'Asl segnala la vicenda alla Procura. Si indaga per epidemia colposa

Focolaio di tubercolosi al “Neruda” occupato di Torino: almeno sei casi accertati

Focolaio di tubercolosi al “Neruda” occupato di Torino: almeno sei casi accertati

Un focolaio di tubercolosi è esploso all’interno dell’ex scuola “Neruda” di via Ciriè 7, a Torino, oggi sede di un’occupazione abitativa gestita da un collettivo anti-sfratto. Tra i sei e gli otto i casi confermati, due dei quali riguardano minorenni. L’Asl To2 ha attivato i protocolli di emergenza e trasmesso una segnalazione alla Procura di Torino, ipotizzando il reato di epidemia colposa.

Nell’edificio, di proprietà del Comune ma da anni sottratto a ogni controllo istituzionale, vivono circa duecento persone: famiglie, lavoratori precari, studenti e migranti. Le autorità sanitarie stanno effettuando gli screening di gruppo all’ospedale Amedeo di Savoia, specializzato in malattie infettive, dove nelle ultime ore sono stati trasportati i residenti risultati positivi ai primi test. La situazione è definita “sotto controllo” dall’Asl, ma resta alta l’attenzione per la densità abitativa e le condizioni igieniche dell’immobile, che favoriscono la diffusione del contagio.

A Torino è scoppiato un focolaio di tubercolosi all’interno dell’ex scuola “Neruda” di via Ciriè 7, oggi occupata da un collettivo anti-sfratto e abitata da circa duecento persone, tra famiglie, studenti e lavoratori in difficoltà economica. La notizia, confermata dall’Asl, ha fatto scattare immediatamente i protocolli sanitari e acceso i riflettori su una situazione complessa e delicata, che intreccia aspetti sanitari, sociali e legali.

L’ex scuola, un tempo sede di una scuola di conceria dotata di essiccatoi e laboratori, è stata occupata diversi anni fa da un gruppo di persone rimaste senza casa o impossibilitate a sostenere un affitto. Col tempo, lo spazio è diventato una comunità autogestita, con cucine comuni, una palestra, una stanza dei giochi e persino un piccolo ambulatorio interno. Gli occupanti provengono da contesti differenti: italiani, nordafricani, tunisini, nigeriani e marocchini, molti dei quali lavorano come muratori o idraulici. L’edificio, di proprietà del Comune di Torino, non è mai stato censito ufficialmente e da tempo rappresenta un punto critico per l’amministrazione cittadina, più volte sollecitata a intervenire per una sistemazione alternativa.

Oggi il “Neruda” è anche un centro sociale aperto al quartiere Aurora. Al suo interno vengono organizzate rassegne teatrali, mostre, corsi di lingua, attività per bambini e incontri pubblici su temi sociali e politici. Questa dimensione aperta, che negli anni ha fatto del luogo un punto di riferimento per molti, si è però rivelata un fattore di rischio in termini sanitari: la compresenza di molte persone in spazi chiusi e condivisi, unita alla precarietà delle condizioni igieniche, ha favorito la diffusione del batterio della tubercolosi.

Il primo caso sarebbe stato individuato già durante l’estate, ma solo negli ultimi giorni il numero dei contagi è cresciuto, facendo emergere un vero e proprio focolaio. I medici del 118 e dell’Asl To2 sono intervenuti su richiesta degli stessi residenti, che avrebbero segnalato alcuni casi sospetti dopo la comparsa di sintomi compatibili con la malattia, come tosse persistente, febbre e perdita di peso. Da due giorni, gli abitanti vengono trasportati a gruppi all’ospedale Amedeo di Savoia, dove sono stati effettuati i primi test di screening e avviate le cure per i casi conclamati.

Secondo l’Asl, la situazione è “sotto controllo” e le procedure previste dal Ministero della Salute sono state attivate in modo puntuale. I protocolli impongono infatti di condurre un’indagine epidemiologica completa per ricostruire la catena del contagio e individuare i contatti stretti dei malati, che vengono sottoposti a esami specifici e, in caso di positività, a trattamenti preventivi. Nelle strutture comunitarie, come scuole, caserme o dormitori, è prevista una profilassi di massa, volta a evitare che l’infezione si propaghi ulteriormente.

L’Asl ha inoltre trasmesso alla Procura una nota informativa per segnalare la possibile responsabilità amministrativa nella gestione dell’edificio e la mancanza di controlli sanitari regolari. La tubercolosi, pur essendo una patologia controllabile e curabile, richiede un’attenzione costante e diagnosi tempestive. La sua comparsa in un contesto come quello del “Neruda” — dove non esistono registri anagrafici, controlli medici sistematici o monitoraggi sanitari — ha reso più difficile un intervento preventivo.

Dalla Città di Torino, però, arriva una precisazione: il Comune non avrebbe ricevuto alcuna comunicazione ufficiale dall’Asl, né richieste formali di collaborazione. L’amministrazione, in base alla legge, è titolare della funzione di autorità sanitaria locale, con la possibilità di emettere ordinanze urgenti in caso di rischio per la salute pubblica. Per ora, l’attenzione è concentrata sul monitoraggio e sull’assistenza agli abitanti dell’ex scuola, molti dei quali si trovano in condizioni di fragilità economica e sociale.

Le tensioni intorno al “Neruda” non sono nuove. Lo spazio è stato più volte oggetto di polemiche politiche e richieste di sgombero, da parte di chi lo considera un simbolo di illegalità e di chi, invece, lo difende come presidio di solidarietà. L’ultimo scontro pubblico risale allo scorso febbraio, durante la trasmissione televisiva Lo Stato delle cose, quando il sindaco Stefano Lo Russo aveva affermato la necessità di trovare una soluzione alternativa per i nuclei più fragili: «C’è l’esigenza di intervenire per trovare una sistemazione diversa per quei nuclei. Va trovato il modo di collocare duecento persone nel perimetro della legalità».

La comparsa del focolaio riaccende ora il dibattito sulla gestione sanitaria e sociale degli spazi occupati, tema da anni al centro del confronto tra istituzioni e associazioni. Dal collettivo che gestisce il “Neruda” arriva una critica diretta alle istituzioni regionali: la responsabilità, spiegano, non sarebbe tanto degli occupanti quanto della Regione Piemonte, accusata di aver trascurato la prevenzione sanitaria e di non aver investito in politiche di screening adeguate. Dopo il Covid, dicono, malattie come la tubercolosi sono state “completamente dimenticate”.

In Italia, secondo gli ultimi dati del Ministero della Salute, nel 2023 sono stati registrati circa 2.600 nuovi casi di tubercolosi, con un’incidenza di 4,4 casi ogni 100.000 abitanti. La malattia, che si trasmette per via aerea, colpisce principalmente i polmoni ma può coinvolgere anche altri organi. Nonostante la bassa mortalità, la sua diffusione in contesti affollati rappresenta un rischio concreto. I medici ricordano che la prevenzione passa soprattutto attraverso il monitoraggio costante dei contatti e l’accesso alle cure antibiotiche nei tempi corretti.

Il caso del “Neruda” si inserisce dunque in un quadro più ampio, che riguarda le emergenze sanitarie nei luoghi di marginalità urbana, dove l’assenza di controlli regolari e di strutture abitative adeguate può favorire la riemersione di patologie che si ritenevano sotto controllo. L’Asl continuerà nei prossimi giorni con gli accertamenti su tutti i residenti, mentre la Procura valuterà se aprire un’inchiesta formale per chiarire le eventuali responsabilità.

Per ora, la priorità resta la tutela della salute pubblica e l’assistenza alle persone coinvolte. Ma il focolaio di via Ciriè mette in evidenza, ancora una volta, quanto fragile sia l’equilibrio tra emergenza sociale e sicurezza sanitaria: due piani che, in città come Torino, finiscono spesso per sovrapporsi, chiedendo risposte coordinate e non più rinviabili.

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