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Susa, la manica del saio di San Francesco torna a raccontare otto secoli di storia e devozione

Al Museo Diocesano un prestito straordinario dalla casa madre dei Cappuccini di Parigi: un frammento di lana che unisce fede, artigianato e memoria sabauda

Susa, la manica del saio

Susa, la manica del saio di San Francesco torna a raccontare otto secoli di storia e devozione

Una manica di lana grezza, sopravvissuta a otto secoli di storia, emerge dal silenzio degli archivi per tornare a parlare. Fino al 12 ottobre, il Museo Diocesano di Susa ospita un’esposizione straordinaria: la manica del saio di San Francesco d’Assisi, reliquia rara e poco conosciuta, giunta dalla casa madre dei frati cappuccini di Parigi. È un frammento minuscolo, ma dal peso simbolico enorme. Un tempo venerato dai Savoia con la stessa intensità riservata alla Sindone, oggi torna a essere visibile in occasione del percorso di avvicinamento all’ottavo centenario della morte del Santo, che nel 2026 tornerà a essere festa nazionale, dopo quasi cinquant’anni di assenza dal calendario civile.

La mostra non è solo un evento devozionale, ma anche una finestra sulla storia del territorio e delle sue connessioni con l’Europa medievale. Nel XVI secolo, quando Emanuele Filiberto trasferì la capitale sabauda da Chambéry a Torino, portando con sé la Sindone, la manica del saio francescano fu donata alla città di Susa come segno di continuità spirituale e politica. La reliquia era già allora considerata un simbolo prezioso: secondo la tradizione, San Francesco l’avrebbe consegnata a Beatrice di Ginevra, moglie di Tommaso I di Savoia, durante il suo passaggio in Valle intorno al 1213-1214.

Da quel gesto si dipana una trama di devozione e storia che attraversa i secoli. La manica rimase nel convento fondato da Beatrice, poi fu trasferita a Chambéry nel Cinquecento, protetta durante la Rivoluzione francese da una famiglia locale, e infine affidata ai cappuccini. Dopo rare apparizioni pubbliche nel 1913 e nel 1974, la reliquia è riemersa grazie a un accurato lavoro di ricerca negli archivi francesi, che ne ha permesso il ritrovamento e il prestito a Susa.

La parte più sorprendente della mostra è però scientifica. Le analisi condotte sul tessuto hanno confermato che la fibra risale al XIII secolo, ed è composta da lana non tinta, lavorata con tecniche che garantivano una naturale impermeabilità, una sorta di “Gore-Tex medievale”. Una prova tangibile della sapienza artigianale del tempo, in perfetta coerenza con l’ideale di semplicità e funzionalità proprio dell’ordine francescano.

Oltre al valore storico, la reliquia si impone come simbolo di resilienza collettiva. Custodita per secoli da comunità, ordini religiosi e famiglie anonime, è sopravvissuta a guerre, rivoluzioni e dispersioni grazie a un sentimento condiviso di cura del sacro. È questo, più che la rarità materiale, a renderla straordinaria: la forza della devozione popolare, capace di proteggere un frammento fragile attraverso otto secoli di trasformazioni.

Il Museo Diocesano di Susa, guidato dal Centro Culturale della Diocesi e diretto da don Gianluca Popolla, propone l’esposizione come occasione per rileggere la relazione tra fede, identità e memoria. In un territorio da sempre crocevia tra culture e popoli, la manica del saio diventa una metafora potente: un filo che collega le epoche e restituisce senso al presente.

La Valle di Susa, che da secoli accoglie pellegrini, artisti e viandanti, torna a essere luogo di incontro. Nella trama di quella lana grezza, i visitatori sono invitati a riconoscere non solo un reperto, ma una testimonianza di umanità condivisa, un racconto silenzioso che attraversa il tempo e riemerge per ricordare che la memoria non è mai ferma: si intreccia, si rinnova, si fa carne e tessuto di comunità.

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