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“Settimo Torinese, guarda che città” (ma non troppo, ché ti viene il magone)

Via Milano, lavori conclusi solo nei rendering: transenne, incuria e pedoni in ostaggio

“Settimo Torinese, guarda che città” (ma non troppo, ché ti viene il magone)

Dado

A Settimo Torinese c’è un luogo magico dove il tempo si è fermato. Non è un museo, non è la biblioteca, non è un sito archeologico, e nemmeno una zona a traffico limitato. È via Milano. 

Chi la percorre ogni giorno ormai la conosce bene: una palazzina nuova di zecca (Il dado), fresca di cantiere, circondata da transenne che sembrano più antiche del Colosseo. Il tutto condito da tombini pieni di vegetazione spontanea e un tappeto di foglie secche che manco a Central Park in autunno.

L’opera, come annuncia orgogliosamente il cartello “Settimo Guarda che città”, sarebbe conclusa. I rendering mostrano sorrisi, biciclette, bambini che giocano e non una buca in vista. Peccato che nella realtà, a distanza di mesi, l’unica cosa che gioca è la pazienza dei cittadini.

«Mi domando per quanto tempo ancora dobbiamo avere parte del marciapiede bloccato da queste transenne, visto che la casa è terminata da tantissimo tempo» scrive una residente, con la disperazione ormai mista a ironia.

La risposta del Comune arriva con la solita formula, tanto educata quanto stantia: “Le recinzioni verranno tolte tra qualche giorno, appena assegnati gli alloggi, per motivi di sicurezza”.

I motivi di sicurezza evidentemente sono quelli che a Settimo si tirano fuori come il jolly del mazzo quando non si sa più che dire. Sicurezza da cosa, esattamente? Da una buca nel marciapiede o dal rischio che qualcuno si accorga che il cantiere è finito da mesi e nessuno si è preso la briga di togliere le barriere?

Intanto, i pedoni — quelli veri, fatti di carne, ossa e stanchezza — si arrangiano. Attraversano la strada sperando che le auto si fermino, anche se le strisce pedonali ormai sono un vago ricordo, un’ombra biancastra sull’asfalto. E chi si avventura dall’altra parte trova un percorso degno di un reality show: mattonelle saltate, erbacce, tombini rialzati e macchine parcheggiate di traverso, in perfetta armonia con l’arredo urbano.

Qualcuno prova a chiedere spiegazioni: «E i tombini chi li pulisce?».
Altro tema delicato. Perché a Settimo, a quanto pare, i tombini si puliscono da soli. Oppure li pulisce il cambiamento climatico, con un acquazzone improvviso. È il nuovo modello di manutenzione ecologica che passa dagli "insetti impollinatori", dai topi di allevamento nelle isole ecologiche fino all'erba alta.

Un cittadino sbotta: «Poi non venitemi a dire che gli allagamenti sono colpa del clima».

Non manca, ovviamente, chi difende l’Amministrazione, le solite Sturmtruppen.

“Non possiamo criticare sempre, Settimo è migliorata molto” dicono alcuni e giù pernacchie.

dado

Ci sono cittadini che raccontano di non poter uscire dal proprio cortile perché ogni mattina le auto si ammassano davanti agli ingressi per accompagnare i figli a scuola. Chi parcheggia sopra i marciapiedi, chi blocca i cancelli, chi occupa la visuale.

E i vigili? «Alla baita a fare colazione si trovano sempre, ma quando servono spariscono», scrive qualcuno, con l’amarezza tipica di chi ormai non si stupisce più di niente.

Poi c’è il capitolo pulizia. Il Comune annuncia trionfante che “da mercoledì scorso è partito un nuovo servizio di spazzamento, il primo mercoledì del mese è vietato parcheggiare per permettere alla Seta di passare con le spazzatrici”.
Una meraviglia. Peccato che, come fanno notare i residenti, nessuno abbia mai visto una spazzatrice in azione. Forse passano all’alba, invisibili come gli unicorni. O forse semplicemente non passano.

E mentre si discute, via Milano resta lì, a metà tra cantiere e discarica, con i cartelli comunali che parlano di “investimento sul futuro” e i cittadini che si chiedono se quel futuro preveda anche il diritto di camminare senza rischiare una slogatura.
Nel frattempo, le transenne resistono, immobili, testimoni silenziose di un’amministrazione che pare allergica alla concretezza, tutta concentrata sull'innovazione e sull'equilibrio.

«Sarebbe bastato arretrare le transenne di un metro» suggerisce un cittadino. Ma a Settimo un metro è concetto filosofico, non misura fisica. Serve per le inaugurazioni, non per i pedoni.

Via Milano perfetta cartolina dell’Italia che ci ha rotto i marroni: lavori finiti ma non conclusi, risposte burocratiche, cittadini esasperati, foglie nei tombini e marciapiedi trasformati in parcheggi abusivi.
E tutto questo sotto lo slogan luminoso e orgoglioso del Comune: “Settimo – Guarda che città!”.
Eh sì, guardiamola pure. Guardiamola bene, questa città. 

“Settimo, guarda che città” (ma non troppo, ché ti viene il magone)

Settimo, guarda che città”. È lo slogan ufficiale che campeggia sui manifesti del cantiere Dado. E in effetti, guardando Settimo, qualcosa lo si guarda davvero: si guardano le transenne, che ormai hanno diritto di residenza. Si guardano i tombini, dove cresce l’erba come nei giardini pensili di Babilonia. Si guardano i topi, l'erba alta, i marciapiedi scassati, le isole ecologiche trasformate in discarica, le luci che vanno e che vengono in interi quartieri. E poi si guarda altrove, per non intristirsi.

“Guarda che città”, dicono con orgoglio dall’amministrazione. E uno guarda. Ma più guarda, più capisce che la frase, forse, è un invito alla prudenza: guarda dove metti i piedi.
Perché un marciapiede rotto può insegnarti più di un corso di educazione civica. Ti insegna l’equilibrio, la pazienza, la capacità di adattamento. Ti insegna anche l’arte della rassegnazione: sai che non cambierà nulla, ma continui a guardare, perché almeno lo spettacolo è gratuito.

Settimo è una città che guarda avanti. Solo che, a forza di guardare avanti, non si accorge più di cosa ha sotto il naso. E così, mentre si celebra l'innovazione, si fotografa la nuova scuola, ci si fa un selfie nel cantiere in cui si sposterà il comando della polizia ci si dimentica che anche un tombino pulito fa parte del progresso.
E che forse la vera rivoluzione ecologica è anche un po' di pulizia

“Guarda che città” funziona come titolo e come minaccia. Perché c’è chi lo dice con orgoglio, e chi lo dice con stupore. Il primo lo scrive sui cartelli del Comune, il secondo lo mormora la mattina, quando apre la finestra e trova la solita auto parcheggiata sul marciapiede.

Settimo guarda, sì. Ma non si vede. È come quegli specchi appannati dove cerchi il tuo riflesso e trovi solo condensa. Una città che si racconta moderna, ma inciampa nella burocrazia; che parla di decoro, ma non distingue più un’aiuola da un cestino; che promette futuro, ma lascia gli abitanti delle case ATC nella merda più totale.

E allora sì, guardiamola pure, questa città. Ma non troppo, ché a guardarla troppo viene il magone.
O forse lo slogan andrebbe corretto, per onestà: “Settimo, guarda che città… e poi chiudi gli occhi.”

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