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Iil “tesoro nascosto” del neurologo Scarzella di Ivrea torna allo Stato dopo 30 anni

Restituiti 254 reperti archeologici di straordinario valore: vasi, anfore e sculture provenienti da una collezione privata torinese sequestrata nel 1991

Torino, un tesoro restituito allo Stato: 254 reperti archeologici tornano alla collettività

Torino, un tesoro restituito allo Stato: 254 reperti archeologici tornano alla collettività (foto: alcuni dei reperti)

Una storia cominciata più di trent’anni fa si è chiusa con un gesto di civiltà e responsabilità. Martedì 7 ottobre 2025, nelle sale di Palazzo Chiablese, sede della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino, si è tenuta la cerimonia ufficiale di restituzione allo Stato di 254 reperti archeologici di straordinario valore storico e culturale. Provenienti da civiltà apule, umbre, etrusche, messapiche e romane, i manufatti tornano finalmente nel patrimonio pubblico dopo oltre tre decenni di vicende giudiziarie e incertezze legali.

Alla cerimonia hanno preso parte il Soprintendente Corrado Azzollini, il Tenente Colonnello Giuseppe Marseglia, comandante del Gruppo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC) di Monza, e l’avvocato Tiziana Pisanidell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino. Un incontro che ha celebrato non solo la conclusione di un lungo procedimento, ma soprattutto la restituzione alla collettività di un frammento di memoria storica.

La vicenda nasce nel 1991, quando i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale sequestrarono i reperti nell’ambito di un’indagine sui traffici di beni archeologici provenienti da scavi clandestini in Toscana. Le opere furono trovate nella disponibilità di Riccardo Scarzella, neurologo di fama e primario all’ospedale di Ivrea prima e poi al Mauriziano di Torino, grande appassionato d’arte antica. Si trattava di un “tesoro” accumulato negli anni Settanta e Ottanta, acquistato attraverso vari intermediari. Alla morte del medico, il procedimento penale si estinse per la scomparsa dell’imputato, ma il sequestro rimase valido: gli eredi divennero così custodi giudiziari del patrimonio.

Per oltre trent’anni quei vasi, anfore, kylix, kantharos, lekythos, oggetti votivi in metallo, statuette e sculture in terracotta e bronzo sono rimasti chiusi in un’abitazione torinese, dimenticati ma mai dispersi. Solo nel 2024 gli eredi decisero di rivolgersi alla Soprintendenza per chiarire la propria posizione, avviando una complessa ricostruzione giuridica insieme ai Carabinieri TPC e all’Avvocatura dello Stato. Gli accertamenti confermarono che tutti i reperti erano ancora sotto sequestro e in ottimo stato di conservazione.

A quel punto, i familiari del collezionista scelsero la via più limpida: restituire spontaneamente i beni allo Stato, senza alcuna pretesa economica o rivendicazione di proprietà. Una decisione che, come ricordato dai Carabinieri, è perfettamente in linea con la legge e la giurisprudenza consolidata, secondo cui ogni bene archeologico rinvenuto nel sottosuolo italiano appartiene allo Stato, salvo prova contraria di una lecita provenienza anteriore al 1909, anno della prima normativa organica di tutela.

Il Tribunale di Torino ha approvato l’accordo transattivo tra gli eredi e la Soprintendenza, autorizzando il dissequestro e la confisca dei reperti. L’operazione, condotta con equilibrio e sensibilità istituzionale, ha permesso di riportare alla luce un insieme di opere che testimoniano la complessità delle culture antiche dell’Italia centrale e meridionale, databili tra il VI e il II secolo avanti Cristo.

Il corpus comprende oggetti fittili a vernice nera e rossa, utensili, anfore, unguentari, antefisse e sculture che raccontano un dialogo artistico tra il mondo etrusco, quello apulo e quello messapico. Un patrimonio che ora potrà essere studiato, catalogato e — auspicabilmente — esposto in un museo statale, per restituire alla collettività la storia che per decenni è rimasta confinata in un salotto privato.

Come ha sottolineato il Soprintendente Azzollini, “questa restituzione non è solo un atto di giustizia, ma di consapevolezza culturale: i beni archeologici appartengono a tutti, perché raccontano la nostra storia comune”.

Un messaggio ribadito anche dal Tenente Colonnello Marseglia, che ha parlato di “una pagina positiva nella lunga battaglia contro il traffico illecito di reperti, vinta grazie al senso civico dei cittadini e alla collaborazione tra istituzioni”.

Dopo trent’anni di silenzio, quei frammenti di terracotta e bronzo tornano così a parlare, testimoni muti di un passato che non smette di riaffiorare. Questa volta non da uno scavo clandestino, ma dal gesto volontario di chi ha scelto di restituire alla comunità ciò che le apparteneva da sempre.

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