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Fratture del femore in aumento: l’Italia è senza reparti

Oltre 110 mila casi all’anno, ma solo 680 ospedali dispongono di ortogeriatrie. Gli esperti: “Serve una rete nazionale per affrontare l’emergenza della fragilità”.

Fratture del femore

Fratture del femore in aumento: l’Italia è senza reparti

Le fratture del femore sono diventate una delle principali emergenze sanitarie per l’Italia che invecchia. Ogni anno si registrano circa 110 mila nuovi casi, e il dato che più allarma gli specialisti non riguarda solo l’incidenza, ma la sopravvivenza: tra gli over 65, la mortalità a un anno dall’intervento sfiora il 30%. Numeri che fotografano una popolazione fragile, spesso affetta da più patologie e bisognosa di cure complesse, non sempre garantite dai sistemi ospedalieri attuali.

A lanciare l’allarme è la Otodi, la Società degli ortopedici e traumatologi ospedalieri italiani, riunita a Riccione per il Trauma Meeting. “Serve intervenire entro 48 ore — spiega Fabrizio Cortese, direttore di Ortopedia e Traumatologia dell’ospedale Santa Maria del Carmine di Rovereto — ma l’urgenza non finisce in sala operatoria. Il vero problema comincia dopo, nel percorso di recupero e riabilitazione”.

Per questo negli ultimi anni sono nati reparti specializzati di Ortogeriatria, dove accanto all’ortopedico lavora un medico internista esperto nella gestione delle complicazioni tipiche dell’età avanzata: scompensi cardiaci, diabete, terapie farmacologiche complesse. Ma il modello, nato in Gran Bretagna e considerato oggi uno standard di eccellenza, in Italia è ancora un privilegio per pochi: solo 680 ospedali sul territorio nazionale dispongono di questi reparti dedicati. “Un numero insufficiente — denuncia Marco Mugnaini, neo presidente Otodi e specialista del Santa Maria Annunziata di Firenze — se si pensa alla crescita esponenziale dei pazienti fragili che arrivano ogni giorno nei nostri pronto soccorso”.

I reparti di ortogeriatria sono già una realtà consolidata in alcune regioni come Toscana, Liguria, Trentino e Piemonte, dove centri come Torino e Rovereto hanno fatto da apripista. Qui l’approccio multidisciplinare consente di affrontare non solo la frattura, ma l’intero quadro clinico del paziente, riducendo complicanze, degenze e mortalità. Tuttavia, in molte aree del Paese, soprattutto nel Sud, gli anziani continuano a essere curati in reparti non strutturati per gestire la complessità della fragilità senile.

L’aumento delle fratture del femore è legato all’allungamento della vita media e alla maggiore diffusione dell’osteoporosi, una malattia silenziosa che indebolisce le ossa e rende i traumi domestici — spesso semplici cadute — potenzialmente letali. Le conseguenze, però, non sono solo mediche: dopo una frattura, molti anziani non recuperano più la piena autonomia, perdono la capacità di camminare, vengono trasferiti in strutture assistenziali o sviluppano depressione.

Secondo gli ortopedici, il futuro della sanità italiana passa anche da qui: dall’abilità di trasformare un evento traumatico in un percorso di cura integrato, che non si fermi all’intervento chirurgico ma accompagni il paziente fino alla piena riabilitazione. L’Otodi chiede una rete nazionale di ortogeriatrie, investimenti nella formazione e un piano per uniformare l’assistenza tra Nord e Sud.

“Le fratture del femore — sottolinea Cortese — sono una spia dell’invecchiamento del Paese e del bisogno di un nuovo modello sanitario che sappia prendersi cura delle fragilità”. In un’Italia che si prepara a diventare una delle nazioni più anziane d’Europa, non è solo una questione di numeri, ma di dignità: quella di poter guarire bene, anche a novant’anni.

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