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Juve, il fantasma di Motta aleggia su Tudor: stessa solidità, zero emozioni. E ora il rischio Champions fa paura

Il nuovo tecnico croato non riesce a invertire la rotta: la Juventus corre poco, crea meno e convince ancora meno. Senza una svolta, l’Europa che conta può diventare un miraggio

Juve, il fantasma di Motta

Il nuovo tecnico croato non riesce a invertire la rotta: la Juventus corre poco, crea meno e convince ancora meno. Senza una svolta, l’Europa che conta può diventare un miraggio

La Juventus di Igor Tudor sembra ripercorrere, almeno in parte, le orme della squadra di Thiago Motta un anno fa. Cambiano i protagonisti, mutano le intenzioni, ma il risultato — dentro e fuori dal campo — è sorprendentemente simile: una formazione solida, disciplinata, ma incapace di entusiasmare. E con un dubbio che diventa sempre più grande: questa Juve ha ancora lo spessore per restare tra le prime quattro?

Le prime giornate del campionato 2025/2026 hanno confermato che Tudor, pur cercando di imprimere un segno più aggressivo, si ritrova a gestire una squadra in bilico tra passato e presente. Con Motta, la Juventus 2024/2025 aveva iniziato il campionato in modo prudente: nessuna sconfitta nelle prime sei, ma troppi pareggi a reti inviolate. Le prestazioni parlavano di una squadra che controllava le partite ma raramente le dominava. Difesa ordinata, possesso ragionato, pochi rischi: un calcio pensato per gestire, non per osare.

Con Tudor, il copione si è aggiornato, ma non completamente riscritto. Il tecnico croato ha portato un impianto più verticale, fondato sul 3-4-2-1, la pressione alta e l’intensità sulle corsie laterali. Tuttavia, l’efficacia offensiva non è migliorata quanto ci si aspettava. Le difficoltà emerse nel recente pareggio contro il Milan sono state emblematiche: tanto movimento, poco peso specifico negli ultimi venti metri. Una Juventus che si muove, ma non punge, che produce senza finalizzare.

Le differenze tra i due allenatori sono più filosofiche che pratiche. Motta predicava il controllo totale del pallone, Tudor punta sulla verticalità e sull’energia fisica. Ma il problema è che entrambe le versioni della Juve finiscono per svuotarsi nella zona decisiva del campo. Manca un leader tecnico, manca la scintilla. I giocatori si muovono in uno spartito ordinato, senza variazioni, e quando serve inventiva la squadra si spegne.

A preoccupare non sono solo i numeri, ma le sensazioni. Questa Juve non trasmette forza né fame, e il paragone con le rivali più dirette — Inter, Napoli, Roma e Milan — è impietoso. Tutte mostrano un’identità precisa, un progetto riconoscibile. A Torino, invece, il progetto sembra ancora un cantiere aperto, in cui ogni miglioramento è subito bilanciato da un passo indietro.

Il rischio di restare fuori dalla Champions League è concreto. Non solo perché le concorrenti viaggiano forti, ma perché la Juventus non dà segnali di crescita reale. Restare fuori, oggi, significherebbe molto più che perdere un posto in Europa: vorrebbe dire rinunciare a una fetta importante di introiti economici e prestigio internazionale, proprio mentre il club sta cercando di rialzarsi dopo anni di incertezze.

La Juventus non può permettersi una stagione anonima. Non dopo aver cambiato allenatore, non con un organico costruito per lottare ai vertici. Tudor dovrà dimostrare di saper andare oltre la prudenza tattica e di poter restituire alla squadra quel carattere vincente che è da sempre parte della sua storia.

Perché sì, in questa Juve c’è un po’ di Motta e, evidentemente, non va bene. E se la stagione continuerà su questa linea grigia, il confine tra pazienza e delusione rischia di diventare troppo sottile per essere ignorato.

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