Cerca

Calcio

Cairo vattene, il Toro non è solo "un conto in banca" e non ne può più

Oltre diecimila tifosi in corteo, cori assordanti allo stadio, striscioni e rabbia: la piazza granata insorge contro il presidente. Promesse disattese, piazzamenti anonimi e parole come “acufene” che hanno esasperato ancora di più la frattura tra società e tifoseria

Cairo vattene, il Toro non ne può più

Cairo vattene, il Toro non ne può più

Dopo la pesante sconfitta per 3-0 contro l’Atalanta, la contestazione nei confronti di Urbano Cairo ha toccato il punto più alto degli ultimi anni. Prima della partita oltre cinquemila tifosi hanno sfilato in corteo per le vie di Torino, chiedendo a gran voce le dimissioni del presidente e scandendo cori che da tempo sono diventati il sottofondo delle partite del Toro: “Cairo vattene”. Striscioni, bandiere e rabbia hanno colorato una protesta che non si è fermata al fischio finale, ma che è continuata nella notte e che, ormai, è diventata il simbolo di una frattura insanabile tra società e tifoseria.

Urbano Cairo

Le accuse dei tifosi non nascono da un episodio isolato, ma da anni di promesse mancate e delusioni. Cairo aveva parlato di un Torino competitivo, pronto a tornare in Europa, con un progetto solido e ambizioso. La realtà, invece, racconta di una squadra intrappolata a metà classifica, incapace di alzare l’asticella, spesso in lotta più per sopravvivere che per crescere. Gli obiettivi annunciati si sono dissolti uno dopo l’altro: nessuna Europa, nessuno stadio granata, nessuna svolta tecnica. Una gestione che ha lasciato dietro di sé più amarezza che soddisfazione.

La contestazione è diventata capillare, invadendo non solo lo stadio ma anche i luoghi simbolo della storia granata. A Superga, nel giorno della commemorazione, i cori contro Cairo hanno risuonato persino in un momento sacro, segno di un malessere così profondo da non conoscere tregua. Per i tifosi non si tratta solo di risultati sportivi, ma di un senso di tradimento rispetto a una storia che meriterebbe ben altro. Perché il Torino non è una società qualsiasi, ma un patrimonio collettivo che ha sempre vissuto di orgoglio e identità.

A tutto questo si aggiungono episodi che hanno acceso ulteriormente la miccia. Mentre la squadra affondava e la piazza ribolliva, Cairo veniva immortalato sorridente e scatenato durante il suo compleanno. Immagini che hanno fatto il giro dei social e che per molti tifosi sono diventate la rappresentazione plastica di un presidente distante, incapace di comprendere la sofferenza di chi la maglia granata la vive ogni giorno. Un cortocircuito comunicativo che ha alimentato ancora di più la rabbia.

Le dichiarazioni pubbliche del presidente non hanno contribuito a rasserenare il clima, anzi. Quando ha definito le contestazioni “come l’acufene”, cioè un ronzio che non smette mai, i tifosi hanno letto quelle parole come una mancanza di rispetto. Ridurre a fastidio cronico la voce di migliaia di persone è apparso come l’ennesima prova di indifferenza. Non sono piaciute nemmeno le aperture, solo teoriche, a una possibile cessione: Cairo ha detto di essere pronto a vendere “a chi abbia soldi e voglia di fare”, ma la piazza non gli crede. In molti pensano che non ci sia mai stata una reale volontà di lasciare, e che queste frasi servano solo a guadagnare tempo.

Le critiche arrivano anche dal mondo giornalistico, dove voci autorevoli come Paolo Ziliani e Alfredo Pedullà hanno parlato apertamente di “mediocrità” e di “scaricabarile”. La gestione Cairo viene descritta come un continuo spostamento di responsabilità: colpa degli allenatori, colpa del mercato, colpa della sfortuna. Tutto, tranne il riconoscimento di una linea societaria che, anno dopo anno, ha reso il Toro una comparsa nel campionato.

I sostenitori granata contestano soprattutto la mancanza di visione. I bilanci in ordine non bastano, perché il Toro non è un’azienda qualunque. È vero che i conti sono sani, che la società non rischia il tracollo economico, ma cosa se ne fanno i tifosi di un club “in salute” se poi sul campo devono assistere a stagioni anonime? La Maratona non canta per un rendiconto positivo, i bambini non sognano di vedere un grafico in utile: sognano l’Europa, sognano vittorie, sognano di tornare ad alzare la testa.

E qui sta il nocciolo della questione: il distacco tra un presidente che si rifugia dietro i numeri e una piazza che chiede emozioni, ambizione, coraggio. Una distanza che cresce ogni giorno, che ha ormai logorato ogni possibilità di riconciliazione. La protesta non è più un episodio, è diventata un movimento. Oltre diecimila persone hanno sfilato in corteo nelle scorse settimane, segno che non si tratta più solo della voce della curva, ma dell’intera comunità granata.

Oggi la domanda che aleggia tra i tifosi è semplice e brutale: quanto ancora durerà questa convivenza forzata? Perché il Torino, quello vero, quello che ha fatto innamorare generazioni, non può essere ridotto a squadra da metà classifica, senza obiettivi, senza sogni. Urbano Cairo è al centro di una contestazione che sembra destinata a non fermarsi, e ogni partita diventa un banco di prova non solo per la squadra, ma per il futuro stesso del club.

Il Toro merita di più, gridano i tifosi. Merita rispetto, merita un progetto, merita un presidente che lo tratti non come un’azienda, ma come la leggenda che è. Finché questo non accadrà, la voce della piazza continuerà a farsi sentire, forte e rabbiosa, come un ruggito che nessun acufene potrà mai spegnere.

Il Toro ridotto a un conto in banca

C’è chi sogna l’Europa, chi sogna di battere la Juve, chi sogna di rivedere il Toro in una notte magica di coppa. E poi c’è Urbano Cairo, che sogna… i bilanci. Mentre la Maratona urla “vattene”, mentre migliaia di tifosi invadono le strade di Torino per chiedere un futuro degno della storia granata, il presidente sfoglia i registri contabili e sorride: “I conti sono in ordine”. E che importa se le classifiche parlano di anonimato, se le stagioni si susseguono senza gloria, se l’unico traguardo è vivacchiare a metà classifica? L’importante è che il Toro chiuda l’anno in utile, mica che giochi a calcio.

È questa la filosofia di Cairo: trasformare una squadra che fu leggenda in un’azienda modello, efficiente, sobria, priva di rischi. Il Toro di Superga e degli invincibili diventa il Toro della calcolatrice e dei rendiconti trimestrali. Una metamorfosi che i tifosi non riescono più a sopportare, perché nessuno in curva sogna i grafici a torta o le colonne di Excel. Eppure, il presidente insiste: i bilanci sono sani, l’acufene delle contestazioni è un rumore di fondo con cui convivere, e se qualcuno vorrà comprare il club, dovrà portare “soldi e voglia di fare”. Perché, in fondo, tutto ruota sempre lì: ai soldi.

E allora non stupisce che mentre i tifosi si strappano la voce, Cairo venga visto danzare spensierato al suo compleanno, come se nulla fosse. Un’immagine che resterà nella memoria: la città in corteo, i cori assordanti, e il presidente che brinda felice, orgoglioso forse di aver risparmiato sul menù della festa più che della salvezza del Toro. Un contrasto grottesco, degno di un film comico.

Il paradosso è che nessuno contesta a Cairo la sua abilità nel tenere i conti in ordine. Anzi, glielo riconoscono tutti. Ma i tifosi vogliono ben altro: vogliono ambizione, vogliono un progetto, vogliono sognare. E invece si ritrovano con un presidente che confonde una squadra di calcio con una delle sue aziende editoriali. Il Toro ridotto a un prodotto, il tifo ridotto a un target, la passione ridotta a voce di bilancio.

Forse, un giorno, quando davvero deciderà di vendere, Urbano Cairo potrà scrivere la sua ultima riga di bilancio e aggiungere: “Missione compiuta: i conti a posto, i sogni in soffitta”. Ma fino a quel giorno, la piazza continuerà a gridargli contro, ricordandogli che il calcio non è fatto di calcolatrici. Perché il Toro non è un’azienda, è un mito. E i miti, di solito, non si gestiscono col bilancino.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori