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È un altro Allegri rispetto alla Juve? Osservandolo meglio si scopre che...

Il pragmatismo resta intatto: difesa bassa, ripartenze, attesa dell’errore. Ma allora cosa è cambiato?

È un altro Allegri rispetto alla Juve?

È un altro Allegri rispetto alla Juve? Osservandolo meglio si scopre che...

Da quando è tornato al Milan, Massimiliano Allegri è finito sotto la lente degli opinionisti. C’è chi sostiene che il tecnico abbia cambiato pelle, che il suo calcio si sia aggiornato, che non sia più solo difesa e contropiede. Un modo, forse, per riabilitare la sua immagine dopo l’ultima stagione alla Juventus, quella del 2023/24, chiusa tra critiche e risultati deludenti. Ma la domanda è una: davvero Allegri oggi propone qualcosa di diverso?

La risposta, guardando le partite, è chiara. No. Allegri resta fedele a sé stesso: preferisce tenere la squadra compatta, concedere il pallino all’avversario, aspettare l’errore e colpire con ripartenze fulminee. Non è un calcio che punta a dominare, ma a gestire. A cambiare, rispetto all’ultima esperienza in bianconero, non è la filosofia, bensì la qualità di chi scende in campo.

L’esempio perfetto arriva dall’ultima sfida di campionato contro il Napoli di Antonio Conte. Il Milan ha vinto 2-1, un risultato pesante e prezioso. Eppure, basta guardare i numeri per capire che non si è trattato di una partita di dominio rossonero: possesso palla e tiri in porta hanno sorriso agli azzurri. Il Milan ha colpito con due gol nati da due sgroppate verticali, sfruttando errori difensivi gravi del Napoli. In più, c’è stata una corsa centrale di Fofanà, terminata a lato. Oltre a queste fiammate, poco altro. Il resto della partita lo hanno giocato abbassando il baricentro, difendendo con ordine prima in undici, poi in dieci uomini dopo l’espulsione di Estupiñan per un fallo su Di Lorenzo.

Non è dunque un calcio nuovo: è il solito Allegri. L’uomo che pensa prima a non prenderle e poi a cercare la zampata. Con una differenza, però, rispetto agli ultimi anni: il Milan ha un centrocampo di qualità superiore. Giocatori capaci di alzare il livello tecnico, di tenere il pallone meglio, di rendere meno macchinoso il passaggio dalla difesa all’attacco. Questo non significa che il Milan cerchi di imporre il gioco, ma che le stesse idee oggi sembrano più efficaci, perché i piedi sono più educati e le scelte più lucide.

È questo che inganna. Non un cambio di filosofia, ma il diverso impatto degli interpreti. Alla Juve il copione si inceppava spesso: poche linee di passaggio, poca brillantezza. In rossonero, invece, anche con lo stesso approccio prudente, la squadra appare più fluida, più concreta, più incisiva. Non perché Allegri abbia cambiato, ma perché ha a disposizione un gruppo con più talento.

Alla fine, il nodo è lì: non c’è un Allegri nuovo, c’è un Milan diverso. E se oggi i rossoneri riescono a far sembrare il suo calcio meno statico e più produttivo, il merito va soprattutto a chi scende in campo. Il pragmatismo resta, ma i giocatori lo trasformano in vittorie.

Dopotutto, come diceva Vujadin Boškov: “I giocatori fanno gli allenatori”. Una frase semplice ma spietata nella sua verità. Perché, per quanto bravo possa essere un tecnico, senza calciatori di qualità il suo lavoro non può esprimersi fino in fondo. Sono i giocatori a trasformare le idee in azioni, gli schemi in gol, le partite in vittorie. Ed è il loro rendimento a decretare se un allenatore sembri geniale o mediocre.

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