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02 Ottobre 2025 - 22:00
Un progetto enorme, delicatissimo e destinato a far discutere a lungo, non solo per la sua portata tecnica e finanziaria ma anche per le ricadute ambientali e sociali. Il Movimento 5 Stelle ha chiesto un’audizione in Commissione Ambiente con Sogin, la società pubblica incaricata del decommissioning nucleare, per fare chiarezza sull’iter e sugli aspetti tecnici del futuro Deposito nazionale di scorie nucleari, un’opera che l’Italia si trascina da decenni e che ancora oggi appare più come un miraggio che come una realtà concreta. L’impianto, nelle intenzioni del governo e di Sogin, dovrà accogliere 78 mila metri cubi di rifiuti radioattivi prodotti in oltre cinquant’anni di storia atomica italiana, dislocati oggi in più di venti depositi temporanei sparsi sul territorio, spesso precari e costosi da mantenere. Una struttura imponente, con un’estensione pari a circa 200 campi da calcio, costi che si stimano nell’ordine dei miliardi di euro e tempi lunghissimi: i cronoprogrammi parlano di una possibile apertura del cantiere nel 2029 e di una conclusione attorno al 2039, sempre che non intervengano ulteriori ritardi.
La richiesta dei consiglieri regionali pentastellati, avanzata dalla capogruppo Sarah Disabato e dai consiglieri Pasquale Coluccio e Alberto Unia, parte da un presupposto chiaro: “Il deposito serve, ma il Piemonte non è il luogo adatto”. Eppure, tra i 51 siti individuati come potenzialmente idonei dalla CNAPI, la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee, ben cinque ricadono nella provincia di Alessandria. Una prospettiva che scuote le comunità locali, già provate da anni di incertezze e tensioni, e che riaccende il timore di veder calare dall’alto decisioni destinate a segnare la vita dei territori per generazioni.
Sarah Disabato
Il progetto del deposito nazionale, nato dal decreto legislativo 31 del 2010 e aggiornato dal Decreto Energia del 2023, non prevede solo la costruzione di un’infrastruttura di stoccaggio. Accanto al deposito sorgerà infatti un Parco Tecnologico, un polo di ricerca e innovazione dedicato alle tecnologie ambientali e alla gestione dei rifiuti radioattivi, con la promessa di ricadute occupazionali e scientifiche. Un argomento che Sogin porta avanti da anni come tentativo di convincere i territori riluttanti, ma che finora non è riuscito a spostare l’ago della bilancia della diffidenza.
Il punto critico, sottolineano i consiglieri del M5S, non riguarda solo la localizzazione dell’impianto ma anche la logistica. Trasportare migliaia di tonnellate di scorie radioattive lungo strade e ferrovie italiane è un’operazione che definiscono “delicatissima e che richiede la massima pianificazione”. Una rete che dovrebbe gestire rifiuti prodotti non soltanto da attività mediche e industriali, ma soprattutto, per circa il 60%, dal decommissioning degli impianti nucleari italiani chiusi dopo il referendum del 1987: centrali come Trino Vercellese, Caorso, Latina, Garigliano e il sito Eurex di Saluggia, che custodisce alcune delle scorie più pericolose del Paese.
Proprio Saluggia rappresenta il simbolo delle contraddizioni italiane sul nucleare. Nel 2013 avrebbe dovuto entrare in funzione il Complesso CEMEX, un impianto progettato per cementare e solidificare circa 300 metri cubi di rifiuti liquidi ad altissima radioattività. Un’opera considerata fondamentale per mettere in sicurezza il sito, ma rimasta incompiuta dopo anni di appalti revocati, gare rifatte e rinvii. Oggi si parla di una nuova procedura d’appalto da 172,5 milioni di euro e della nomina di un nuovo coordinatore, l’ingegnere Donato Carlea, con l’obiettivo di completare il progetto entro il 2029. Intanto, però, quei rifiuti restano dove sono, in vasche collocate a pochi metri dalla Dora Baltea, in un’area soggetta a rischio idrogeologico e situata a monte dell’Acquedotto del Monferrato, che disseta centinaia di migliaia di piemontesi. Una situazione che desta preoccupazione da decenni, tanto che comitati e ambientalisti parlano di una vera e propria “spada di Damocle” sospesa sopra la testa dei cittadini.
Accanto al CEMEX, a Saluggia esiste anche il deposito Avogadro, un’altra struttura controversa che sorge in area allagabile e che in passato ha custodito combustibile irraggiato. Anche qui la questione sicurezza resta irrisolta, tanto che negli anni si sono moltiplicate denunce e osservazioni alle procedure di Valutazione d’Impatto Ambientale. Non sorprende quindi che i cittadini continuino a chiedere trasparenza e chiarezza. “Abbiamo sollevato più volte la questione dei ritardi – denunciano i consiglieri M5S – ma da Sogin non sono mai arrivate risposte soddisfacenti. Cosa stiamo aspettando per mettere in sicurezza quelle scorie?”.
Il Movimento insiste su due concetti chiave: trasparenza e partecipazione. Per Disabato, Coluccio e Unia non è più accettabile che decisioni di tale portata vengano prese a porte chiuse, senza un reale coinvolgimento delle comunità. “La gestione di un tema così sensibile non può prescindere dall’ascolto della popolazione e dalla condivisione di ogni passaggio”, sottolineano. Un principio che a Saluggia è già stato messo in pratica dai cittadini, che hanno presentato osservazioni alla VIA del progetto CEMEX e che da anni organizzano incontri pubblici e mobilitazioni per non restare spettatori di scelte calate dall’alto.
Sul piano politico la vicenda è tutt’altro che lineare. Da un lato, il governo sostiene la necessità di un unico deposito nazionale, anche per rispettare le indicazioni europee e razionalizzare i costi. Secondo stime ufficiali, infatti, i depositi temporanei sparsi in Italia comportano spese enormi per la manutenzione e la sicurezza, spese che un deposito unico ridurrebbe sensibilmente. Dall’altro lato, cresce la consapevolezza che il modello del deposito centralizzato possa non reggere di fronte all’opposizione dei territori. Si discute così, sempre più insistentemente, di ipotesi alternative: depositi modulari, soluzioni distribuite su più aree, o persino il rinvio sine die di una decisione che nessuno sembra voler assumere fino in fondo.
In mezzo a questo labirinto di norme, promesse e rinvii restano le scorie, immutate e pericolose, custodite in strutture provvisorie spesso vicine a fiumi, centri abitati e infrastrutture critiche. Restano le comunità locali, che da decenni convivono con paure e diffidenze. E restano le parole del Movimento 5 Stelle, che chiede chiarezza, tempi certi e risposte concrete. Perché, come ricordano i consiglieri, “il deposito nazionale di scorie nucleari è una questione aperta e controversa, e senza trasparenza e partecipazione non potrà mai trovare consenso”.
Così in Piemonte la politica discute, Sogin promette, i territori protestano. Ma intanto, nei capannoni di Saluggia e negli altri depositi sparsi per l’Italia, le scorie restano lì, in attesa di un futuro che sembra ogni giorno un po’ più lontano.
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