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Sui rifiuti radioattivi Pichetto Fratin è in confusione totale

Non riesce ad individuare il sito per il Deposito Nazionale unico e farfuglia, contraddicendo le decisioni prese negli ultimi quindici anni, «sto pensando di andare avanti stoccandoli nei 22 siti già esistenti»: che sono ubicati in aree non idonee

Sui rifiuti radioattivi Pichetto Fratin è in confusione totale

Il ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, in Parlamento

Uno degli esempi più palesi ed eclatanti dell’incapacità di questo Governo di risolvere i problemi, rimangiandosi decisioni già prese e intanto spendendo invano un sacco di soldi, è quello del Deposito Nazionale per il materiale radioattivo. Problema antico, nascosto già durante la breve stagione nucleare italiana del secolo scorso (quando si costruirono e si accesero i reattori senza pensare a dove stoccare le barre esaurite che ne sarebbero derivate), irrisolto dopo lo spegnimento delle centrali (quasi quarant’anni fa), tardivamente affrontato con un decreto del 2010: decreto che ora, dopo quindici anni di studi e confronti con gli enti locali, il titolare del Ministero dell’Ambiente – l'anziano commercialista biellese Gilberto Pichetto Fratin – ammette di non essere in grado di applicare. Problema che lo stesso ministro, incapace di risolverlo, aggraverà ulteriormente nei prossimi anni quale conseguenza della sua recente decisione di tornare a produrre energia elettrica nel nostro Paese mediante la fissione nucleare, che genererà ulteriori rifiuti radioattivi che nessuno sa dove immagazzinare e nessuno in Italia vuole sul proprio territorio.

La necessità di un Deposito Nazionale
Che l’Italia necessiti di un Deposito Nazionale in cui stoccare in (relativa) sicurezza per i secoli a venire i rifiuti radioattivi – i molti prodotti in passato dalle centrali e i pochi prodotti tuttora per usi medici e industriali – da costruire in un sito meno inidoneo di quelli in cui sono ubicati gli attuali depositi “temporanei” è un dato consolidato, in fatto e in diritto. Fin dal 2011 l’Unione Europea, con la Direttiva 2011/70 Euratom, ha istituito un “quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi” in cui prevede che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nello Stato membro in cui sono stati generati. La Direttiva obbliga inoltre gli Stati membri dell'Unione a predisporre un Programma nazionale per l’attuazione della politica di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, dalla generazione fino allo smaltimento.

La Direttiva europea è stata recepita dall’Italia con il Decreto Legislativo 45 del 4 marzo 2014, che prevede – fra l’altro – la redazione e l'approvazione di un “Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi”.

Il Programma è stato elaborato tra il 2014 e il 2018 e individua, quale soluzione per lo stoccaggio, la realizzazione di un Deposito Nazionale unico per il materiale radioattivo, che «assume carattere funzionale rispetto all’intendimento di voler concludere rapidamente lo smantellamento definitivo delle centrali nucleari e rispetto all’obiettivo di rendere il decommissioning delle centrali nucleari più rapido ed efficace, consentendo così una riduzione delle voci di bolletta a carico dei cittadini italiani, costituite dagli “altri oneri di sistema”».

Il percorso per arrivare all’individuazione del sito per il Deposito Nazionale è stato delineato, in tutti i suoi passaggi, con il Decreto Legislativo n. 31 del 2010, emanato quando presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, ministro dello Sviluppo economico era Claudio Scajola e ministro dell'Ambiente era Stefania Prestigiacomo: tutti esponenti di Forza Italia, come lo è Pichetto Fratin.

I “Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività” (e quindi per l'individuazione del sito in cui realizzare il Deposito Nazionale) sono stati definiti da Ispra, l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ora Isin), nel 2014 con la pubblicazione della “Guida Tecnica n. 29”.

La ricerca di un'area idonea
Il compito di redigere una carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il Deposito è stato affidato a Sogin, la società pubblica (interamente partecipata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze) che ha come mission aziendale quella di smantellare gli impianti nucleari e gestire i rifiuti radioattivi. Un apposito Dipartimento di Sogin ha effettuato una vasta ricognizione tecnica portata avanti per esclusione in base ai criteri della Guida: dall’intero territorio nazionale sono state escluse le aree vulcaniche, quelle sismiche, quelle di montagna, quelle vicine al mare e ai corsi d'acqua, le aree densamente abitate, quelle a rischio di frana o con falde affioranti, ecc.

La Cnapi (Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee) era già sostanzialmente definita da Sogin nel 2016, ma per almeno cinque anni i Governi Letta, Renzi e Gentiloni l'hanno tenuta in un cassetto, secretata. L'allora ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, nel 2018, aveva annunciato la pubblicazione «entro il 4 marzo»: promessa da marinaio. Dopo una diffida inviata dalle associazioni ambientaliste vercellesi a fine 2020 la Cnapi è finalmente stata pubblicata nel gennaio del 2021: comprendeva 67 aree potenzialmente idonee. Sulla base di quella lista Sogin - come previsto dal decreto del 2010 - ha organizzato, nell'autunno del 2021, una consultazione (un “Seminario nazionale”) con gli enti locali, le associazioni, i comitati e gli abitanti, che hanno presentato centinaia di osservazioni tecniche e giuridiche.
In base alle osservazioni emerse durante la fase di consultazione pubblica e durante e dopo il Seminario Nazionale, Sogin ha elaborato la proposta di Cnai (Carta Nazionale Aree Idonee), che riduce i siti da 67 a 51 dislocati in sei regioni, e l'ha trasmessa al Ministero dell’Ambiente, che l'ha pubblicata sul proprio sito istituzionale nel dicembre 2023.

Nei successivi 90 giorni, gli enti locali di tutto il territorio italiano interessati ad ospitare il Deposito Nazionale potevano presentare la loro autocandidatura. L'unico a farlo - dopo aver ottenuto, con il favore di Pichetto Fratin, una modifica della norma - è stato il sindaco del Comune di Trino (Vc), Daniele Pane, che poche settimane dopo è stato costretto a ritirarla.

Nel novembre 2024 il Ministero dell’Ambiente ha avviato la fase di scoping prevista della procedura di Valutazione Ambientale Strategica (Vas) sulla proposta di Carta Nazionale delle Aree Idonee, avvalendosi del supporto tecnico di Sogin, che è poi la stessa società che ha redatto sia la Cnapi che la Cnai. L'amministratore delegato di Sogin, Gian Luca Artizzu, ha dichiarato che «per completare la Vas ci vorrà un anno e mezzo».

Le “genialate” del ministro
Mentre la procedura per l'individuazione del sito per il Deposito Nazionale va faticosamente avanti, dall'autunno scorso il ministro Pichetto Fratin si è distinto per una serie di affermazioni che contrastano con quanto previsto dalla norma.
Nel settembre scorso, a margine di un convegno nella sede di Confindustria, ha lanciato l'idea di realizzare per i rifiuti radioattivi sul territorio nazionale non un unico deposito (come la norma, che lui dovrebbe attuare, prevede), bensì tre: «uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud». In due anni non è riuscito ad individuare un sito, figuriamoci tre.
Il 9 ottobre, poi, il ministro è stato chiamato in audizione alla Camera, e quando è arrivato al punto dei depositi per il materiale radioattivo se n'è uscito con questa affermazione: «l'idea che si sta valutando è quella di ammodernare le strutture esistenti, eventualmente ampliandole, sfruttando la possibilità di farlo in località potenzialmente già idonee alla gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi, anche nell'ottica del rientro dall'estero dei rifiuti ad alta attività che lì si trovano per riprocessamento da diversi anni». Affermazione che ha fatto sobbalzare sulla sedia tutti coloro che conoscono la questione: le “strutture esistenti” (i depositi “temporanei” attuali, compresi quelli di Saluggia e Trino) di cui parla Pichetto Fratin sono infatti tutte ubicate in siti già tecnicamente valutati come “non idonei”, tanto che nessuno di essi è stato inserito nella Cnapi e tantomeno nella Cnai. Ma lui sta già pensando di ampliarne e ammodernarle.
Ai primi di maggio, poi, nuovo exploit: nel corso di un incontro organizzato da La Stampa il ministro ha dichiarato: «inizio a scartare l'ipotesi dei miei predecessori, perché mi sembra illogico a livello di efficienza e funzionalità aver un solo centro a livello nazionale: significherebbe far viaggiare ogni giorno i rifiuti da Torino a Palermo. Anche la carta nazionale dei 51 siti idonei è ormai superata. Ecco perché la valutazione che sto facendo a livello ministeriale è creare più depositi, oppure andare avanti su quelli esistenti».

Nessuna modifica normativa
Ora: fatta la tara ad alcuni evidenti strafalcioni (il Deposito Nazionale non sarà mai a Palermo, località non presente nella Cnai; che il materiale radioattivo debba viaggiare «ogni giorno» è una fanfaronata: non viaggiava ogni giorno nemmeno quando in Italia funzionavano le centrali nucleari) che comunque danno il senso di quanto Pichetto Fratin sia competente in materia, siamo dunque a questo punto: dopo aver deciso, anche a seguito delle sollecitazioni comunitarie, che in Italia occorre realizzare un Deposito Nazionale per il materiale radioattivo, e dopo quindici anni di studi sulla scelta dell'area meno inidonea in cui costruirlo - con pubblicazione di una guida tecnica, analisi dei siti, redazione di Carte via via più dettagliate, un Seminario, centinaia di osservazioni, alcuni ricorsi al Tar - e nel pieno della procedura di Valutazione Ambientale Strategica avviata dal Ministero stesso, il ministro annuncia - senza che vi sia alcun provvedimento a sostegno delle sue affermazioni - che il Deposito Nazionale non si farà più, e che il materiale radioattivo permarrà nei tanti inidonei siti attuali (compresi quelli delle centrali in dismissione), dove peraltro Sogin nell'ultimo quarto di secolo ha continuato a costruire depositi “temporanei”, o comunque in «più depositi».
Oltre a non corrispondere ad alcun provvedimento normativo (ma su questo il ministro è recidivo: nemmeno il tanto strombazzato disegno di legge sul “nucleare sostenibile”, asseritamente passato in Consiglio dei ministri nel febbraio scorso, è ancora stato reso noto), le affermazioni di Pichetto Fratin contrastano con il Programma Nazionale e con tutte le valutazioni tecniche e di sicurezza effettuate perlomeno negli ultimi due decenni. Lo stesso Artizzu, ad di Sogin, nuclearista convinto, nel luglio scorso aveva dichiarato che «nessuno dei 51 siti all’esame della Vas combacia con quello di un vecchio impianto nucleare, per un motivo banale: la Guida Tecnica servita come base per l’individuazione dei 51 siti prevede determinate distanze dalle fonti d’acqua. Le centrali sono tutte lungo corsi d’acqua perchè la risorsa idrica serve per il funzionamento. Quindi di conseguenza vicino alle centrali non ci sono siti idonei».
Riportiamo qui quanto si legge sul sito depositonazionale.it, a cura di Sogin: magari qualcuno lo faccia leggere a Pichetto Fratin.

Il ritorno dei rifiuti radioattivi dall'estero
Oltre ai rifiuti radioattivi già presenti in Italia, nei prossimi mesi è previsto il ritorno sul territorio nazionale del materiale radioattivo derivante dalle costosissime (a fine 2024 erano stati spesi 1394,2 milioni di euro) campagne di ritrattamento delle barre di combustibile esaurito provenienti dalle centrali nucleari italiane e inviate negli scorsi anni agli impianti di Sellafield (Inghilterra) e La Hague (Francia). Per una parte di questi rifiuti Sogin aveva previsto, in un documento ufficiale, lo stoccaggio nell'ex reattore "Avogadro" ubicato nel sito di Saluggia (Vc), salvo poi fare una parziale retromarcia dopo l'intervento delle associazioni ambientaliste che nel dicembre scorso avevano letto il documento e denunciato l'intenzione di Sogin.

Un immane spreco di denaro pubblico
Oltre agli aspetti di scarsa attenzione alla sicurezza, di mancato rispetto della normativa nazionale e internazionale e di assenza di provvedimenti che le accompagnino, le affermazioni del ministro Pichetto Fratin su un possibile «cambio di strategia» sono il sintomo del dilettantismo con cui questo Governo - lo stesso che annuncia di voler riaprire le centrali nucleari o di costruirne di nuove - affronta la questione dell'eredità nucleare del secolo scorso.
Pichetto Fratin con le sue dichiarazioni ammette di essere un ministro che non è in grado di attuare le decisioni prese dai Governi negli ultimi tre lustri, a partire da quelle - il decreto-quadro del 2010 - assunte da un presidente del Consiglio e da ministri del suo stesso partito, fino a terminare con la Vas sui 51 siti della Cnai avviata pochi mesi fa (da lui, non dai «suoi predecessori»). Tecnici e politici di tutti gli schieramenti concordano, e non da ieri, sulla necessità di realizzare un Deposito Nazionale unico, ma questo ministro non è in grado di mandare avanti la procedura e quindi presenta come «nuovo orientamento» (tenere i rifiuti radioattivi nei siti inidonei in cui già si trovano, aggiungendo quelli di rientro dall'estero e quelli di nuova produzione) la sua incapacità di attuazione.
Ma soprattutto Pichetto Fratin, e chi lo sostiene in queste sue deliranti affermazioni, dovrà rendere conto del danno erariale causato allo Stato e agli Enti locali. La procedura per l'individuazione del sito per il Deposito Nazionale è costata, in questi quindici anni, alcune decine di milioni di euro: la costituzione di un apposito Dipartimento in Sogin (in cui, oltretutto, volano gli stracci: ma di questo, che apre un vaso di Pandora, parleremo altrove), gli studi per la redazione della Cnapi, l'organizzazione del Seminario nazionale, la preparazione della proposta di Cnai, l'apertura della Vas. Senza contare quanto speso da Regioni, Province e Comuni per predisporre le osservazioni (tutte negative, dall'Alpi al Lilibeo: il Deposito, in un Paese che sta per ripartire con il nucleare, non lo vuole nessuno) inviate a Sogin e al Ministero. Tutto lavoro (e denaro) sprecato: abbiamo scherzato, il Deposito Nazionale - dice Pichetto Fratin - non si fa più, i rifiuti radioattivi se li tiene chi li ha già, e negli stessi siti (inidonei) ne arriveranno altri. A ciò si aggiungano le multe che l'Italia deve pagare all'Unione Europea che ha aperto una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese che ancora non si è dotato del Deposito Nazionale.
E intanto - annuncia compiaciuto lo stesso ministro - sempre utilizzando denaro pubblico cominciamo a costruire nuove centrali, sempre a fissione nucleare com'erano nel secolo scorso (quelle a fusione, tanto auspicate, non esistono), che produrranno nuovi rifiuti radioattivi. Pichetto Fratin sarà ricordato dai posteri come colui che, oltre a non essere stato capace di trovare una soluzione al problema dei rifiuti radioattivi, ha fatto di tutto per aggravarlo.

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