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02 Ottobre 2025 - 14:08
Social e minori, a Milano parte la causa che sfida i giganti del web
Una stretta sull’accesso dei più giovani ai social, il disinnesco delle dinamiche che generano dipendenza, l’obbligo di un’informazione chiara sui rischi. È questo il cuore della battaglia giudiziaria che da Torino arriva al Tribunale di Milano, dove lo studio legale Ambrosio & Commodo ha depositato un ricorso, su mandato del Moige e di alcune famiglie, contro due colossi mondiali: Meta e TikTok. La prima udienza è stata fissata per il 26 febbraio 2026.
La causa punta a vietare l’accesso ai social ai minori di 14 anni e a imporre una revisione profonda dei meccanismi di funzionamento delle piattaforme. Non solo quindi un innalzamento delle barriere anagrafiche, ma la richiesta di eliminare ciò che i legali definiscono “strumenti che creano dipendenza”, come lo scroll infinito e le raccomandazioni algoritmiche che alimentano il tempo trascorso online. Parallelamente, i ricorrenti chiedono che sia garantita una comunicazione trasparente e facilmente comprensibile sui pericoli dell’uso eccessivo dei social.
Il fronte legale si muove su basi normative precise: secondo gli avvocati torinesi, la normativa europea vieta l’uso dei social agli under 14, ma “le iscrizioni illegali” continuano a essere possibili con troppa facilità. La conseguenza è un paradosso: una regola esiste, ma non viene fatta rispettare.
Al centro dell’azione c’è anche un tema sanitario. Un pool di esperti in neuropsichiatria sostiene che i social, per i più giovani, possano alterare i meccanismi della dopamina, producendo ricadute concrete: perdita del sonno, calo del rendimento scolastico, stati depressivi, difficoltà relazionali e nella gestione delle emozioni. Un quadro che i promotori della causa definiscono “ampiamente documentato” dalla letteratura scientifica internazionale.
Le cifre raccontano l’ampiezza del fenomeno. In Italia, Meta e TikTok contano circa 90 milioni di utenze, di cui almeno tre milioni riconducibili a giovanissimi. Numeri che spiegano perché la vicenda abbia un peso che va oltre la contesa processuale: riguarda famiglie, scuole e un’intera generazione.
Il linguaggio scelto dai legali è diretto. “I social non sono baby sitter – ha dichiarato l’avvocato Stefano Commodo –. Possono provocare danni gravissimi. È come se l’uomo nero bussasse alla porta e la mamma gli affidasse il proprio figlio”. Una metafora che vuole mettere a fuoco l’assoluta sproporzione tra la forza degli strumenti digitali e la fragilità di chi li usa senza filtri.
La causa italiana non arriva in un deserto. Negli Stati Uniti, diversi Stati hanno avviato negli ultimi anni class action contro Meta, TikTok e altre piattaforme, accusandole di aver creato ambienti digitali volutamente “additivi”. Nel 2023 un gruppo di procuratori generali di 41 Stati ha citato in giudizio Meta, accusandola di aver “sfruttato la vulnerabilità dei minori per aumentare i profitti pubblicitari”. Alcune famiglie hanno portato in tribunale anche casi individuali, collegando l’uso intensivo dei social a episodi di ansia, depressione e persino suicidio tra adolescenti.
In Gran Bretagna, la battaglia si è concentrata sull’obbligo di proteggere i minori attraverso il Children’s Code, un insieme di regole che impone alle piattaforme di limitare la raccolta dei dati e di rendere più trasparente l’uso degli algoritmi. La Norvegia e altri Paesi nordici hanno intrapreso azioni simili, spesso richiamando la necessità di contrastare i meccanismi che stimolano la permanenza infinita sugli schermi.
Il caso milanese, dunque, si inserisce in una tendenza internazionale che mette sotto accusa non solo i contenuti visibili sui social, ma soprattutto la struttura stessa delle piattaforme: quella progettazione che, secondo i ricorrenti, “incolla” i ragazzi allo schermo.
La partita in Italia non si limita a dire “no” ai minori di 14 anni, ma prova a definire un perimetro di responsabilità per l’intero ecosistema digitale. Da un lato, l’obiettivo di proteggere i più fragili; dall’altro, la sfida – tutta tecnologica e culturale – di rendere i social strumenti meno “appiccicosi” e più trasparenti.
Se il tribunale accoglierà le richieste, si aprirà un precedente che potrebbe avere conseguenze non solo per gli utenti italiani, ma per l’intero dibattito europeo. Intanto, il messaggio politico e sociale è già arrivato al destinatario: l’attenzione è alta, i riflettori accesi, e la timeline – almeno in questo caso – avrà un punto fermo in calendario, il 26 febbraio 2026.
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