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Borgaro Torinese, appare bandiera della Palestina sul municipio. La Lega: "Scelta divisiva"

Solidarietà al popolo di Gaza da parte del Comune, ma scoppiano le polemiche

Borgaro Torinese, appare bandiera della Palestina sul municipio. La Lega: "Scelta divisiva"

Borgaro Torinese, appare bandiera della Palestina sul municipio. La Lega: "Scelta divisiva"

Sul municipio di Borgaro Torinese da ieri sventola anche la bandiera della Palestina. Affiancata al vessillo della pace, campeggia su una delle finestre del palazzo comunale come gesto di solidarietà verso un popolo «martoriato e privato dei propri diritti fondamentali», secondo quanto spiegato dall’amministrazione. L’iniziativa è stata presentata come un atto simbolico e carico di significato, con l’obiettivo dichiarato di esprimere vicinanza in un momento segnato dal conflitto in Medio Oriente e dalle immagini drammatiche che da mesi arrivano da Gaza.

La decisione ha suscitato consensi e critiche quasi nello stesso momento. A livello regionale, l’esponente della Lega Andrea Cerutti ha ricondotto il punto al ruolo delle istituzioni: in una fase così sensibile dell’opinione pubblica, secondo la sua lettura, i palazzi comunali dovrebbero farsi ponte e non barriera, favorire coesione e non alimentare nuove fratture. Il riferimento va anche agli ultimi giorni vissuti nell’area metropolitana di Torino, dove iniziative pro Palestina hanno provocato blocchi, tensioni con i trasporti e malumori del commercio. Ne deriva un interrogativo politico più ampio: quando un Comune espone la bandiera di una delle due parti in conflitto, sta agendo come soggetto morale oppure sta prendendo posizione in modo divisivo?

Andrea Cerruti

Accantonata la contabilità dei like e delle polemiche, resta l’evidenza di una scelta chiara. Borgaro è un Comune di cintura che decide di entrare, simbolicamente, nel dibattito globale, portando su una finestra istituzionale il drappo che richiama Gaza, Cisgiordania e l’intera questione mediorientale. A rinforzare la lettura c’è la collocazione del vessillo accanto alla bandiera della pace, a sottolineare una cornice non di schieramento militare ma di richiesta umanitaria, in linea con il registro usato da molte amministrazioni negli ultimi anni per interpretare i conflitti del mondo nello spazio della politica locale.

Non è un caso isolato. Nel mosaico delle iniziative civiche italiane, i municipi sono da tempo divenuti il fulcro di segnali simbolici: drappi esposti, striscioni, proiezioni sui frontoni, minuti di silenzio e aperture straordinarie delle sale consiliari a incontri pubblici.

Negli ultimi mesi, alcune amministrazioni hanno sperimentato linguaggi ancora più forti: sudari bianchi appesi alle facciate; installazioni temporanee che, nell’equilibrio delicato tra pietà e politica, cercano di dare forma a un lutto collettivo. In altre realtà si sono moltiplicate le giornate tematiche: mozioni di consigli comunali dedicate alla crisi mediorientale, presìdi istituzionali sulla soglia dei municipi, incontri con associazioni per i diritti umani, momenti di confronto con comunità religiose e gruppi studenteschi.

Spesso i sindaci hanno scelto un registro laico e universalista: non “pro contro” una parte, ma “pro tutela” di vite civili, corridoi umanitari, diritto all’istruzione, assistenza sanitaria, accesso all’acqua e al cibo. Nel linguaggio pubblico locale, questo impasto di umanitarismo e diplomazia simbolica è diventato la cifra di molte amministrazioni che tentano di restare nel perimetro del dovere istituzionale e, al tempo stesso, di non apparire indifferenti.

Borgaro si colloca precisamente in questo solco. Il post pubblicato sui social del Comune ha legato la scelta alla tutela dei diritti fondamentali e alla speranza di una soluzione stabile. Chi legge vi ritrova una volontà di pronunciarsi non sul merito storico-giuridico dell’intero conflitto, ma su un arco più ristretto di valori: dignità, serenità, casa. In altre parole, l’amministrazione locale prova a far entrare la Palestina dentro il vocabolario quotidiano della città, evitando il tecnicismo geopolitico e chiamando in causa il repertorio condiviso dell’umanità. È il punto dove spesso si incontrano e si scontrano le sensibilità dei cittadini: per alcuni si tratta di un gesto alto, per altri di una preferenza politica travestita da umanitarismo.

Sul versante opposto, la critica di Andrea Cerutti condensa un’altra linea sempre più diffusa nella politica regionale e nazionale: i palazzi pubblici, per definizione, dovrebbero tenersi lontani dalle contese internazionali che generano polarizzazione; esporre un vessillo legato a un conflitto vivo può catalizzare tensioni, fornire sponde a frange rumorose, riaccendere nella società locale divisioni che sfuggono al perimetro di una giunta o di un consiglio comunale. In quest’ottica, l’istituzione che unisce non è quella che fa silenzio, ma quella che misura i gesti per evitare che la piazza si radicalizzi.

Lo scenario torinese di questi giorni rende il quadro ancora più sensibile. Tra occupazioni studentesche, assemblee nei licei, cortei e presìdi, la città metropolitana ha incrociato strade bloccate, collegamenti ferroviari rallentati, code in aeroporto, oscillazioni nell’attività commerciale. Anche per questo, ogni segnale che arriva dalle istituzioni — piccoli o grandi Comuni, Città metropolitana, Ateneo — viene filtrato da una lente più scura: quella dell’ordine pubblico, della responsabilità amministrativa, della prudenza. Borgaro si muove dunque in un contesto a forte attrito, dove anche un drappo può cambiare temperatura al dibattito.

Eppure, la politica locale non è soltanto gestione del traffico e dei bilanci. È anche governo del senso, presidio del linguaggio pubblico. Da anni i municipi italiani si interrogano su quale spazio politico attribuire ai simboli: pendono dalla parte del dovere civico — ricordare, testimoniare, educare — o rischiano di trasformare i palazzi comunali in tribune di parte? Il caso di Borgaro, per la sua evidenza grafica e per la sua collocazione, sembra scritto apposta per riaprire la discussione. In assenza di citazioni da riportare e di mozioni ufficiali da analizzare nel dettaglio, resta il dato politico: il Comune si è assunto la responsabilità di parlare con una bandiera e di posizionarsi nel campo semantico della pace.

Il capitolo degli “altri Comuni” merita un’ulteriore sosta. In Piemonte e altrove, nel corso dell’ultimo anno amministrazioni diverse per grandezza e colore politico hanno cesellato varianti dello stesso copione: bandiere esposte per periodi definiti; striscioni con messaggi centrati sulle vittime civili; sudari bianchi talvolta personalizzati da scuole, parrocchie e associazioni locali; rassegne cinematografiche e dibattiti pubblici sul diritto umanitario internazionale; gemellaggi simbolici con città mediorientali; raccolte fondi coordinate con ong riconosciute. Non tutte le iniziative hanno avuto la stessa accoglienza. In alcuni territori si è registrata una partecipazione larga e composita; in altri, il dissenso ha preso la forma di petizioni e ordini del giorno contrari, fino a richieste formali di rimozione dei simboli. Il municipio come agorà si conferma, dunque, terreno di una pedagogia civile che divide: per alcuni necessaria, per altri impropria.

Torniamo a Borgaro. Il Comune ha legato il gesto alla prospettiva di una “pace giusta”. In questo orizzonte semantico, l’accoppiata bandiera palestinese + bandiera della pace serve a posizionare l’azione su una linea che, nella grammatica istituzionale, tenta di reggere due pesi: quello dell’empatia e quello della responsabilità. Empatia verso un popolo in sofferenza, responsabilità nell’uso dei segni pubblici. Per capire se la scelta abbia prodotto l’effetto desiderato — creare consapevolezza senza spaccare la comunità — servirà qualche giorno. I commenti social raccontano già l’onda lunga della discussione, e non è difficile prevedere che il tema approdi in consiglio comunale, tra interrogazioni di minoranza e repliche della giunta.

Intanto, il caso entra nel catalogo delle buone pratiche? Dipende dal punto di osservazione. Chi guarda al municipio come cantiere di educazione civica vede nell’iniziativa una prassi coerente con l’idea di Comune-comunità: dare voce a chi fatica ad averla, tenere alta l’attenzione mediatica, ricordare che la pace comincia dal linguaggio. Chi adotta la lente della neutralità istituzionale, invece, contesta l’uso del balcone pubblico per messaggi che toccano dossier geopolitici, invitando gli amministratori a scegliere semmai strumenti non simbolici: sostegno a progetti di cooperazione, borse di studio, scambi culturali, iniziative con scuole e biblioteche che non espongano il municipio alla lettura di “parte”.

Tra questi due estremi si gioca la partita. Borgaro Torinese ha fatto la sua mossa, e l’ha fatta alla luce del sole, con parole misurate e un segno visibile. A ricordare che i simboli pubblici sono materia viva: uniscono e dividono, accendono il dibattito e lo rendono concreto, costringendo la comunità a scegliere non solo cosa pensa, ma anche come desidera esprimerlo.

Il post del Comune

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