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Cronaca

Dalle strade della fuga alla vita da profughi: che fine hanno fatto i due fratellini di Gaza? (FOTO)

Dall’immagine simbolo dello sfollamento alle tende dei profughi, il destino dei due bambini che hanno incarnato l’infanzia rubata in Palestina

Dalle strade della fuga

Dalle strade della fuga alla vita da profughi: ecco cosa resta dei due fratellini di Gaza che hanno emozionato il mondo

Le loro figure esili, immortalate mentre avanzavano a piedi tra le macerie e la polvere, avevano fatto il giro del pianeta. Jadoua e Khaled, due fratellini palestinesi, erano diventati in poche ore il volto dell’infanzia rubata a Gaza, trascinata dentro un conflitto che non risparmia nulla e nessuno. Quelle immagini, scattate durante uno degli ennesimi sfollamenti forzati, avevano colpito la coscienza collettiva più di mille dichiarazioni diplomatiche. Non c’era retorica: solo due bambini che cercavano di sopravvivere.

Oggi, a distanza di settimane, si apprende che i fratellini sono vivi. Vivono in una tenda improvvisata all’interno di un campo di fortuna, tra migliaia di sfollati. Ridono, giocano come possono, cercando di strappare attimi di normalità in un contesto che di normale non ha nulla. L’immagine che li ritrae sorridenti non cancella il dolore, ma restituisce almeno un frammento di speranza, il sollievo di sapere che sono scampati, almeno per ora, alla morte che a Gaza incombe su ogni famiglia.

Il loro percorso è quello di decine di migliaia di bambini palestinesi: chilometri a piedi, con pochi oggetti stretti in mano, tra bombardamenti e distruzione, fino a raggiungere rifugi precari. Le organizzazioni umanitarie descrivono la situazione come drammatica: scarsità di acqua potabile, alimenti e medicinali, malattie che si diffondono rapidamente nelle tendopoli. La sopravvivenza quotidiana è affidata agli aiuti che riescono a filtrare con difficoltà attraverso i confini. In questo contesto, i sorrisi di Jadoua e Khaled assumono il valore di una resistenza silenziosa.

La loro storia è diventata simbolo internazionale. I media occidentali li hanno raccontati come esempio della condizione di milioni di bambini che crescono senza scuola, senza casa e senza protezione. Le immagini del loro esodo hanno sollevato ondate di indignazione e commozione, rilanciate da leader politici e celebrità sui social network. Ma al di là delle emozioni, le condizioni materiali restano immutate. Il conflitto continua, i civili pagano il prezzo più alto e la tragedia quotidiana viene spesso dimenticata nel susseguirsi delle notizie.

L’infanzia negata a Gaza non riguarda solo Jadoua e Khaled. Secondo le agenzie delle Nazioni Unite, oltre la metà della popolazione della Striscia è composta da minori. La maggior parte ha conosciuto soltanto la guerra, le restrizioni ai movimenti, i blackout e le carenze di beni essenziali. Per loro, la parola futuro resta sospesa tra promesse mancate e una realtà che sembra non offrire alternative.

Eppure, guardando quei due fratelli che ridono sotto una tenda, nonostante la devastazione, si percepisce la forza di una resilienza infantile che non smette di sorprendere. Il sorriso diventa atto politico, gesto di resistenza, testimonianza che la vita continua anche quando tutto sembra perduto. È un’immagine fragile, certo, ma dirompente, perché svela l’assurdità del conflitto meglio di ogni statistica.

Quanto è assurdo tutto questo: due fratellini costretti a trasformarsi in simboli, quando dovrebbero semplicemente poter vivere la loro infanzia.

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