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24 Settembre 2025 - 15:02
"Pronti a bloccare di nuovo la città": gli studenti di Torino rispondono all’attacco alla Flotilla (foto: l'occupazione di Porta Nuova negli scorsi giorni)
«Pronti a bloccare la città». Con queste parole, il 24 settembre i collettivi torinesi hanno trasformato in fatto politico immediato la notizia dell’attacco alla Global Sumud Flotilla: il richiamo è ad un presidio per questa sera alle 18 in piazza Castello, la «piazza Palestina» che già ieri ha visto la città in forte mobilitazione. Ma la reazione più significativa nasce nelle aule e nei corridoi universitari: assemblee, ipotesi di occupazione e l’interruzione del Senato accademico sono il volto visibile di una protesta studentesca che intende proseguire e intensificare le proprie azioni finché non sarà garantita la libertà di movimento della Flotilla.
L’attacco di stanotte alle imbarcazioni della Flotilla — evento che ha scosso l’opinione pubblica nazionale e internazionale — ha avuto l’effetto di accelerare e radicalizzare la mobilitazione già avviata con lo sciopero generale di ieri. A Torino, dove la protesta per Gaza ha assunto nelle ultime 48 ore dimensioni di massa, i collettivi universitari hanno scelto di non limitarsi a manifestazioni in strada: la loro risposta è pensata per colpire il funzionamento quotidiano della città e dei suoi istituti, come gesto di solidarietà alla missione che ha subito gli attacchi in acque internazionali.
Il quadro delle iniziative è nitido nelle parole diffuse dai gruppi: «Siamo in stato di agitazione permanente — recita il comunicato di Torino per Gaza — e risponderemo con nuove azioni finché non sarà garantita la libertà di movimento e la sicurezza della Flotilla». L’annuncio del presidio in piazza Castello è solo l’apertura di un ventaglio di azioni che alcuni studenti già discutono nelle assemblee: occupazioni dei locali universitari, blocchi simbolici degli ingressi e iniziative dirette nelle sedi istituzionali cittadine.
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Non si tratta di ipotesi isolate. Già ieri mattina gli studenti avevano dimostrato di saper trasformare la rabbia in gesto organizzato: il blocco del Campus Einaudi, con ingressi interdetti per impedire le lezioni, e la successiva marcia verso la stazione di Porta Nuova hanno mostrato una capacità di mobilitazione ampia e trasversale. In un’altra fase della giornata, una decina di attivisti del collettivo Cambiare Rotta ha interrotto la seduta del Senato accademico all’interno del Rettorato in via Po, chiedendo un voto di mozione che spinga l’ateneo a «rompere gli accordi» con lo Stato coinvolto nel conflitto e a riconoscere pubblicamente quanto denunciato dalla piazza.
Le assemblee studentesche, spesso rumorose e partecipate, non sono gesti rituali: in esse si decidono passaggi tattici concreti, si preparano volantini, si assegnano turni di presidio e si stendono appelli per la città. Il messaggio che esce è chiaro: la protesta non è un episodio ma una linea di azione che proseguirà «finché non cessa l’aggressione», come hanno ribadito i promotori. La natura delle azioni — occupazioni, presidî, blocchi — è pensata per creare visibilità mediatica e pressione politica, mettendo in crisi le routine cittadine e facendo sentire il peso della protesta anche nei luoghi istituzionali.
Al centro delle discussioni studentesche c’è anche la questione della legittimità e dei limiti della protesta: molti attivisti rivendicano metodi non violenti ma decisi, altri spingono per misure di maggiore impatto. Emblematico, in questo senso, è il richiamo continuo alla protezione delle persone e delle imbarcazioni che avanzano verso Gaza: la solidarietà non si esaurisce in slogan ma assume la forma di iniziative che intendono fermare il normale svolgimento della vita universitaria e cittadina, per costringere le istituzioni a prendere posizione.
La reazione accende inevitabilmente il dibattito pubblico: mentre le piazze respingono e denunciano la violenza subita dalla Flotilla, istituzioni e forze dell’ordine osservano con attenzione la fase successiva. L’esperienza del giorno precedente — con migliaia di persone in corteo, occupazioni parziali di infrastrutture e alcuni momenti di alta tensione — induce a chiedersi come le autorità locali e universitarie intendano gestire il confronto senza entrare in uno scontro aperto con i manifestanti.
Per ora, gli studenti mantengono un’agenda chiara: assemblee, proposta di mozioni accademiche, presidî pubblici e, se necessario, occupazioni. Il messaggio che proviene dalle aule torinesi è anche un monito politico: la solidarietà con la Flotilla non è solo una manifestazione emotiva, ma una piattaforma di azione con ricadute concrete sulla vita collettiva. La mobilitazione studentesca appare intenzionata a continuare, determinata a trasformare il dolore per l’attacco in pressione politica; e se la protesta si mantiene compatta, la città nelle prossime ore dovrà misurarsi con un movimento universitario pronto a far sentire la propria voce, dentro e fuori le aule.
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