Cerca

Attualità

Meloni a New York: "Va bene riconoscere la Palestina, ma solo a due condizioni"

A New York la premier annuncia una mozione condizionata, invoca il consenso delle opposizioni e applaude a Trump su migranti e Green Deal

Meloni a New York

Meloni a New York: "Va bene riconoscere la Palestina, ma solo a due queste condizioni"

Un punto stampa a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York, e una dichiarazione destinata a infiammare il dibattito politico in Italia e all’estero. Giorgia Meloni, accompagnata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha annunciato che la maggioranza parlamentare presenterà una mozione per il riconoscimento della Palestina, ma solo a condizioni precise: il rilascio degli ostaggi e l’esclusione di Hamas da qualsiasi ruolo di governo. Una posizione che cerca di coniugare l’apertura diplomatica con la fermezza contro i gruppi considerati responsabili del conflitto.

La premier ha spiegato che non si tratta di un veto al riconoscimento in sé, ma della necessità di legarlo a passaggi concreti. «Continuo a considerare – ha detto – che il riconoscimento della Palestina in assenza di uno Stato che abbia i requisiti della sovranità non risolva il problema e non produca risultati tangibili per i palestinesi». Poi ha aggiunto che il riconoscimento «può essere uno strumento di pressione politica», ma che questa pressione «deve essere esercitata nei confronti di Hamas, perché è Hamas che ha iniziato questa guerra ed è Hamas che impedisce che la guerra finisca, rifiutandosi di consegnare gli ostaggi».

Le condizioni poste dalla maggioranza sono due: la liberazione degli ostaggi e l’esclusione di Hamas da ogni assetto politico. Per Meloni, «queste sono le priorità. Non sono contraria al riconoscimento della Palestina, ma dobbiamo darci le priorità giuste». Un passaggio che chiarisce come la mozione, se approvata, non si tradurrà in un atto immediato di riconoscimento, bensì in un atto politico vincolato a sviluppi che, per il momento, sembrano lontani.

La premier ha anche auspicato che l’opposizione possa sostenere questa iniziativa, rivendicando la natura bipartisan della proposta: «Non troverà sicuramente il consenso di Hamas, non troverà il consenso degli estremisti islamisti, ma dovrebbe trovarlo tra le persone di buon senso». È un tentativo di spostare il confronto fuori dallo schema maggioranza-opposizione, collocando la questione su un terreno che la Meloni definisce di «responsabilità nazionale».

L’intervento della presidente del Consiglio è arrivato mentre nella stessa sede l’ex presidente americano Donald Trump, tornato a guidare gli Stati Uniti, pronunciava il suo atteso discorso. Meloni ha colto l’occasione per esprimere apprezzamento su diversi passaggi, in particolare su immigrazione e Green Deal, temi che da sempre segnano il solco tra conservatori e progressisti. «Ho condiviso molte cose che ha detto Trump – ha commentato – ho condiviso quello che dice sulla migrazione, ho condiviso buona parte di quello che dice sui Green Deal, ho condiviso anche alcuni passaggi sugli organismi multilaterali che devono rivedere quello che non funziona».

Sulla riforma delle Nazioni Unite, Meloni ha insistito che «c’è un’assenza di capacità di incidere che diventa un problema maggiore», rilanciando un tema che l’Italia porta avanti da tempo, quello di un sistema multilaterale più efficace. Quanto all’attacco frontale di Trump contro le politiche sul clima, la premier ha scelto una posizione sfumata: «Sono d’accordo sul fatto che un certo approccio ideologico al Green Deal abbia finito per minare la competitività dei nostri sistemi». Un modo per distinguere tra il rifiuto tout court del cambiamento climatico, spesso brandito dall’ex presidente americano, e la critica agli eccessi regolatori dell’Unione Europea, che secondo Meloni rischiano di penalizzare le economie nazionali.

Il quadro che emerge dalle parole della premier è quello di un’Italia che vuole giocare un ruolo attivo nello scacchiere mediorientale, ma senza sbandierare un riconoscimento unilaterale. Una posizione di equilibrio che da un lato apre alla legittimazione palestinese, dall’altro blinda il percorso contro la presenza di Hamas. Una scelta che si muove lungo una linea sottile: riconoscere la Palestina, sì, ma a condizione che il processo non legittimi chi resta al centro di una guerra ancora irrisolta.

La reazione internazionale resta da valutare. Paesi europei come Spagna, Irlanda e Norvegia hanno già formalizzato il riconoscimento della Palestina, mentre altri membri dell’UE restano più cauti. La posizione italiana, ora formalizzata in una mozione di maggioranza, appare come un tentativo di mediare tra i due blocchi. Resta da capire se l’opposizione, chiamata direttamente in causa dalla premier, vorrà convergere o userà la questione come terreno di scontro politico.

Intanto, il dibattito interno si intreccia con quello esterno. L’eco delle parole di Trump a New York ha trovato in Meloni un’inaspettata sponda. Sull’immigrazione la premier ha sottolineato la consonanza con il presidente americano, convinta che il tema non sia solo emergenza italiana ma questione globale. Sul Green Deal, l’allineamento si concentra sulla critica a un «approccio ideologico» che rischierebbe di sacrificare le imprese sull’altare di obiettivi irrealistici. È la fotografia di un’asse che guarda più a Washington che a Bruxelles, e che potrebbe avere ricadute nei prossimi dossier comunitari.

A margine resta il dato politico: Meloni sceglie di lanciare da New York una mozione che riguarda la Palestina, un tema che incendia da sempre la politica italiana. Lo fa per segnare un profilo di responsabilità internazionale, per legarsi a una narrazione di fermezza ma anche di apertura condizionata. E, nello stesso tempo, approfitta della cornice dell’Onu per ribadire la sintonia con Trump, un messaggio che ha un destinatario immediato: l’elettorato di centrodestra in Italia, che vede nell’ex presidente Usa un riferimento culturale e politico.

Resta da vedere quale sarà la sorte della mozione in Parlamento. Le condizioni poste – ostaggi liberi ed esclusione di Hamas – sono difficili da ottenere nel breve termine, e rischiano di rendere l’atto un segnale più simbolico che pratico. Ma la politica vive anche di simboli, e quello che Meloni ha scelto di lanciare da New York è chiaro: l’Italia non si tira indietro dal dossier palestinese, ma non accetta scorciatoie che possano trasformarsi in errori strategici.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori