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22 Settembre 2025 - 18:56
"Mio figlio avvelenato dal latte crudo, in coma dal 2017": papà attacca Slow Food a Cheese (immagine di repertorio)
La discussione sui formaggi a latte crudo torna al centro dell'attenzione pubbica dopo le parole pronunciate a Cheese, la fiera in corso a Bra (Cuneo), e la reazione dura di una famiglia che porta con sé una tragedia personale. A parlare con l’ANSA è Giovanni Battista Maestri, di Coredo (Trento), padre di Mattia, il bambino che nel 2017 — dopo aver consumato un prodotto analogo — è caduto «in uno stato vegetativo permanente». Per Maestri, le affermazioni emerse a Cheese, e in particolare il tono con cui sono state espresse, suscitano «sdegno».
La tensione è nata durante una conferenza stampa a Cheese in cui il docente universitario Duccio Cavalieri, ordinario di microbiologia a Firenze, aveva sostenuto che proibire la lavorazione del latte crudo e bandire i formaggi derivati «sarebbe come vietare la bicicletta o l'automobile perché ci sono gli incidenti». Parole che hanno trovato l’apprezzamento di chi difende la tradizione e l’autonomia produttiva di molte aziende casearie; ma che hanno provocato una reazione di segno opposto in chi ha subito una perdita irreparabile.
Nel dibattito è intervenuto anche Giampaolo Gaiarin, referente tecnico della filiera casearia di Slow Food Italia, il quale ha minimizzato la percezione del rischio parlando di casi «rarissimi» di intossicazione da Escherichia Coli Stec, un batterio che può essere presente in vari alimenti crudi. Secondo Gaiarin, si tratta di eventi legati a responsabilità individuali che non possono essere usati per stigmatizzare l’intero settore.
Ma la replica di Maestri è netta e parte dalla sentenza: la Cassazione, lo scorso luglio, ha infatti confermato il nesso di causa tra quel consumo e la condizione di Mattia, rendendo irrevocabili le condanne per lesioni colpose di due responsabili di un caseificio. «Il paragone con la bicicletta o l’automobile non regge», osserva il padre, ricordando che «le leggi impongono comportamenti ben precisi per scongiurare le morti al volante». E aggiunge che l’equiparazione dei rischi «non è pertinente»: mentre carne, pollo e verdura richiedono una preparazione che può eliminare il pericolo, i formaggi a latte non pastorizzato sono «pronti al consumo», dunque il rischio non può essere trattato alla stessa maniera.
Per Maestri, dietro certe argomentazioni pesa anche un interesse economico: «Se ne viene fatta una questione economica, dato che nel settore lavorano centinaia di aziende, non lo posso accettare», dice riferendosi alla tendenza, a suo avviso, di minimizzare problemi strutturali per tutelare la filiera. La sua posizione è chiara: bisogna attenersi senza sconti alle Linee guida che regolano la materia — «la cristallizzazione della migliore scienza ed esperienza» — e non consentire che vengano «ammorbidite». Per il padre di Mattia quelle linee rappresentano il parametro principale per valutare, in caso di nuove intossicazioni, la responsabilità dei produttori; e a suo dire i produttori «non possono rifiutarsi di seguirle».
Il confronto che si è aperto a Cheese, dunque, mette in luce tensioni non soltanto tecniche ma anche etiche e sociali. Da un lato, chi difende la tradizione e la qualità espressa dalle produzioni a latte crudo; dall’altro, le vittime e i loro familiari che invocano rigore normativo e responsabilità penale dove il giudice ha già ritenuto sussistente un nesso causale. Tra questi poli si collocano i pareri scientifici sul rischio reale e la sua frequenza, ma anche le scelte comunicative delle organizzazioni che promuovono il settore.
Al centro resta il caso concreto che ha segnato la famiglia Maestri: la conferma della responsabilità giudiziaria e il dolore di chi vive quotidianamente le conseguenze di una tragedia. Per il padre, il messaggio di Cheese suona come un’offesa alla memoria del figlio e un pericolo di abbassamento degli standard di sicurezza che, a suo avviso, andrebbero invece rafforzati.
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