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Cronaca
22 Settembre 2025 - 18:06
Uccise la moglie malata di Alzheimer. Il perito: "Era lucido" (immagine di repertorio)
Un passaggio chiave nell’istruttoria sul delitto avvenuto a Beinette è arrivato oggi davanti al tribunale di Cuneo: lo psichiatra Alessandro Vallarino, consulente nominato dal giudice, ha affermato che il 75enne Ernesto Bellino non era incapace di intendere e di volere al momento di strangolare la moglie, Maria Orlando, 79 anni, da tempo affetta da Alzheimer. La perizia è destinata a pesare sulle valutazioni dell’udienza, in corso sulla vicenda che ha scosso la comunità locale.
I fatti contestati risalgono alla mattina del 28 giugno 2024: secondo le ricostruzioni, Bellino si sarebbe costituito subito dopo aver ucciso la donna nell’abitazione di famiglia. L’uomo, ex operaio dell’Italcementi oggi pensionato, ha confessato l’atto e da allora è stato sottoposto a misure cautelari; attualmente si trova agli arresti domiciliari presso una residenza. Contro di lui si è costituito in giudizio il figlio della coppia.
La consulenza tecnica disposta dal tribunale ha quindi approfondito lo stato psichico dell’imputato. Secondo il professor Vallarino non vi sarebbe stata una perdita di lucidità tale da far smarrire la capacità di rendersi conto dell’atto che si stava compiendo: in altri termini, il perito ha escluso la totale incapacità di intendere e di volere al momento del delitto. Si tratta di un elemento che potrebbe escludere tesi difensive basate sull’insania o sull’imputabilità esclusa per disturbo mentale.
Dall’altro lato, la consulente della Procura, la dottoressa Patrizia De Rosa, ha delineato una personalità dell’imputato caratterizzata da «aspetti vittimistici». De Rosa ha sottolineato come Bellino fosse in cura da tempo per una depressione cronica e fosse supportato dall’ASL e dal figlio; tuttavia ha rilevato l’assenza — salvo una richiesta "velata" — di una volontà esplicita di essere messo nella condizione di non occuparsi più della moglie. È questo profilo, secondo la consulente dell’accusa, a comporre lo scenario psicologico in cui si è consumato il delitto.
La vicenda ha aperto questioni dolorose e complesse, sul piano umano e giuridico. La malattia della vittima — l’Alzheimer — e la gestione quotidiana delle cure, unite al quadro clinico dell’imputato, costituiscono infatti il nucleo attorno al quale ruotano le interpretazioni che i consulenti stanno offrendo alla Corte. Per gli inquirenti, il profilo psicopatologico e la dinamica familiare sono elementi da valutare con attenzione, così come lo sono le motivazioni che hanno spinto l’uomo a costituirsi subito dopo l’omicidio.
Al centro del processo ci sono domande precise: quale relazione tra la malattia della donna e le ragioni dell’omicidio? In che misura la depressione cronica dell’imputato ha influito sulle sue scelte e sul controllo degli impulsi? La perizia difensiva e quella della Procura offrono letture parzialmente convergenti sullo stato emotivo e sulla personalità dell’uomo, ma divergono sull’interpretazione giuridica della capacità di intendere e di volere.
L’imputato resta comunque sotto la lente della magistratura, che dovrà valutare — alla luce delle consulenze tecniche e degli interrogatori — se ricorrano attenuanti, stati di alterazione o responsabilità piena. Sul piano sociale, il caso richiama l’attenzione sul peso assistenziale e psicologico che la cura di persone affette da demenze comporta per i familiari, e sulla necessità di reti di supporto e interventi che evitino il deteriorarsi delle condizioni di chi assiste i malati.
La vicenda proseguirà con lo svolgimento del processo: al centro delle prossime udienze ci saranno altri accertamenti tecnici e la discussione delle parti sulle implicazioni penali degli esiti peritali. Intanto resta aperto il dibattito sul bilanciamento tra tutela della persona malata, responsabilità individuale e ruolo dei servizi sanitari nel prevenire tragedie simili.
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