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Torino, ricorso scritto con l’IA: il Tribunale lo boccia e multa il ricorrente

Sezione lavoro respinge opposizione: atto confuso e inconferente, sanzione di 500 euro come monito sull’uso dell’IA

Torino, ricorso scritto con l’IA: il Tribunale lo boccia e multa il ricorrente

Torino, ricorso scritto con l’IA: il Tribunale lo boccia e multa il ricorrenteIl Tribunale di Torino, sezione lavoro, ha respinto un ricorso definendolo “manifestamente infondato” e ha condannato la p

Il Tribunale di Torino, sezione lavoro, ha respinto un ricorso definendolo “manifestamente infondato” e ha condannato la parte attrice al pagamento delle spese oltre a due sanzioni: 500 euro in favore di ciascuna parte convenuta e 500 euro alla Cassa delle ammende. Nelle motivazioni la giudice mette in fila i vizi decisivi: innanzitutto la decadenza. Le doglianze contro gli avvisi di addebito erano state presentate oltre il termine di 40 giorni dalla notifica, fissato “a pena di decadenza” dall’art. 24 del d.lgs. 46/1999 (richiamato per l’avviso ex art. 30 d.lgs. 78/2010). In più, le censure risultavano astratte, prive di connessione con i titoli impugnati e in larga parte inconferenti: un impianto argomentativo che non consentiva neppure l’esame nel merito. Da qui la formula netta: domande integralmente rigettate.

Il passaggio che ha acceso la discussione arriva alla voce “responsabilità aggravata”. La sentenza rileva che l’atto è stato redatto “col supporto dell’intelligenza artificiale”, qualificandolo come «coacervo di citazioni normative e giurisprudenziali astratte, prive di ordine logico e in larga parte inconferenti», e riconduce la condotta alla malafede o colpa grave ex art. 96, comma 3, c.p.c. Non è l’uso dell’IA in sé a determinare la soccombenza, chiarisce tra le righe il provvedimento, ma l’uso acritico e non controllato di materiale che non dialoga con i fatti di causa e ignora i termini perentori.

La reazione della categoria è immediata. Sul gruppo Facebook "AVVOCATI", Monica Commisso scrive: «Eccolo qui! Un altro esempio di sentenza moralizzante. Perché dire che l’atto è stato redatto “col supporto dell’intelligenza artificiale” non aggiunge nulla sul piano giuridico. Se fosse stato scritto da un segretario, da un praticante, copiato da un formulario o scaricato da internet sarebbe cambiato qualcosa? Assolutamente no. La sorte sarebbe stata identica, con l’unica differenza che il giudice non l’avrebbe scritto. È un messaggio politicamente e istituzionalmente orientato, quasi un avvertimento. La giustizia ha bisogno di giudici neutrali, non di predicatori. Condannare l’IA a priori va di moda e attira l’attenzione». Nei commenti, però, spunta la posizione opposta: «Qui è stato censurato il comportamento dell’avvocato che si è affidato totalmente all’IA senza verificare fondatezza e congruità delle fonti. È giusto così e dovrebbe rilevare anche sul piano deontologico».

Il caso torinese, con il riferimento esplicito all’IA nelle motivazioni, si inserisce in un quadro internazionale che sta prendendo forma. Negli Stati Uniti la vicenda più nota è quella di Mata v. Avianca (S.D.N.Y., 2023): due legali furono sanzionati perché avevano depositato una memoria con citazioni inesistenti generate da ChatGPT; il giudice P. Kevin Castel sottolineò l’obbligo professionale di verificare l’attendibilità delle fonti. Sempre negli USA, alcuni tribunali federali hanno adottato standing orders che impongono a chi presenta atti di dichiarare l’eventuale uso di IA generativa e di certificare che un avvocato in carne e ossa ha effettuato controlli sostanziali: fra i primi, l’ordine del giudice Brantley Starr (N.D. Texas) che richiede un affidavit sul controllo umano delle citazioni e dei contenuti. L’approccio è chiaro: non un bando allo strumento, ma trasparenza e responsabilità sul suo impiego.

All’opposto, nel continente latinoamericano si sono visti casi in cui l’IA è stata dichiaratamente consultata dal magistrato. Fece discutere la decisione di un giudice di Cartagena (Colombia) che ammise di avere interrogato ChatGPT come supporto nel motivare un’ordinanza su un minore con disturbo dello spettro autistico; il giudice difese la scelta come un ausilio, non sostitutivo dell’analisi giuridica, ma la critica pubblica fu severa e sfociò in richiami formali alla prudenza.

In Europa il quadro si sta allineando su linee-guida di cautela. Diverse corti e ordini forensi hanno diffuso avvertenze: l’IA può essere impiegata come strumento redazionale, ma la responsabilità sul contenuto, sulla pertinenza al caso e sulla veridicità delle citazioni resta integralmente in capo al difensore; inoltre vanno considerati i profili di riservatezza dei dati processuali caricati su piattaforme esterne. In sintesi: va bene l’IA, ma solo se l’avvocato studia il fascicolo, adatta il ragionamento e verifica ogni richiamo normativo e giurisprudenziale.

Cosa aggiunge, allora, la decisione di Torino al dibattito? Primo: ricorda che la decadenza processuale è una barriera invalicabile; nessuna brillantezza stilistica—umana o artificiale—può rianimare un’azione tardiva. Secondo: segnala che l’uso dell’IA diventa rilevante processualmente quando produce atti inconferenti e scollegati dai fatti, al punto da integrare colpa grave con sanzione ex art. 96 c.p.c. Terzo: rende visibile lo spartiacque tra due culture professionali. Da un lato chi vede l’IA come un mezzo neutro: conta il risultato, non l’autore materiale della bozza. Dall’altro chi osserva che la difesa tecnica non è delegabile a un generatore di testi e che il controllo umano non è un optional, ma l’essenza stessa della diligenza forense.

Al netto delle polemiche, il diritto positivo resta terra ferma: termini perentori, pertinenza delle censure, coerenza logica del ricorso. L’IA, se usata come protesi dello studio e non come stampella dell’improvvisazione, può anche velocizzare e organizzare il lavoro. Ma quando sostituisce l’analisi con un collage di massime e norme fuori fuoco, la sentenza—come a Torino—non perdona.

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