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Cronaca

Torino, violenza nei bagni del Lingotto: dopo due anni la ragazza rompe il silenzio

Da due anni di silenzio alla denuncia: a Torino processo a porte chiuse per la presunta violenza su una 17enne nei bagni del cinema Lingotto

Torino, violenza nei bagni del Lingotto

Torino, violenza nei bagni del Lingotto: dopo due anni la ragazza rompe il silenzio (foto archivio)

Due anni di silenzio e un peso difficile da portare. Solo dopo tempo, tra crisi di pianto improvvise e notti insonni, una ragazza torinese ha trovato il coraggio di raccontare alla madre quello che le era successo quando aveva appena 17 anni: «Sono stata violentata in un bagno». Da quel momento è cominciato un percorso doloroso che ha portato a un processo oggi in corso a Torino, con un imputato ventenne originario del Congo accusato di aver abusato di lei nei bagni del cinema Uci Lingotto.

Il procedimento si celebra a porte chiuse, scelta obbligata per proteggere la giovane che nel frattempo ha raggiunto la maggiore età. In aula, davanti al collegio giudicante composto dalle giudici Immacolata Iadeluca, Federica Florio e Milena Chiara Lombardo, sono già stati ascoltati i primi testimoni: la madre, alcune amiche e amici della ragazza, che hanno raccontato il cambiamento improvviso nei comportamenti della giovane dopo quell’episodio.

Secondo la ricostruzione della procura, guidata dalla pm Livia Locci, la storia inizia con uno scambio di messaggi online. I due si conoscono in chat, tra battute e confidenze sempre più frequenti. Al primo incontro, in discoteca, nulla sembra andare storto. Al secondo, invece, la svolta: l’appuntamento al cinema diventa teatro di ciò che la ragazza ha denunciato come violenza. Nei bagni del multisala, lui avrebbe approfittato della sua fragilità e della sua fiducia, costringendola a un rapporto contro la sua volontà.

La denuncia non arriva subito. Per mesi la giovane resta in silenzio, temendo di non essere creduta o di suscitare reazioni imprevedibili. È solo quando il peso diventa insostenibile che confida tutto alla madre, e poi alle amiche più strette. Da lì prende forma l’inchiesta che ha portato all’imputazione per violenza sessuale su minorenne.

In aula la difesa ha già lasciato intendere che contesterà la ricostruzione della procura: secondo l’imputato, si sarebbe trattato di un incontro consensuale, non di uno stupro. Una linea che apre a uno scontro probatorio delicatissimo, dove molto ruoterà attorno alla credibilità della vittima e alla coerenza delle testimonianze indirette.

La prossima udienza, fissata per metà ottobre, vedrà sfilare nuovi testimoni: saranno chiamati a deporre i ragazzi che erano presenti in discoteca la sera del primo incontro, per ricostruire il clima, la conoscenza reciproca e il rapporto instaurato tra i due. Un passaggio che potrebbe essere decisivo per valutare il contesto nel quale è maturato il successivo appuntamento al Lingotto.

Questo caso, come molti altri di violenza sessuale approdati nelle aule torinesi, evidenzia una difficoltà strutturale: spesso non ci sono testimoni diretti, e il processo si gioca sulla parola della vittima contro quella dell’imputato. In questi procedimenti, i giudici sono chiamati a valutare non solo i racconti ma anche gli effetti psicologici, le reazioni successive, la capacità della persona offesa di mantenere coerenza nel tempo. Non a caso, le amiche hanno ricordato gli scoppi di pianto improvvisi e le paure notturne, elementi che la procura considera indizi di un trauma reale.

Negli ultimi anni Torino ha visto diversi processi per abusi avvenuti in contesti simili, con adolescenti che avevano conosciuto i loro aggressori online. I magistrati hanno spesso sottolineato la vulnerabilità dei minori nelle dinamiche social mediate, dove la percezione del rischio si abbassa e la fiducia può trasformarsi in trappola. Il caso Lingotto si inserisce dunque in un filone che non è isolato, ma parte di una realtà sociale più ampia, dove la giustizia si trova a dover colmare il divario tra l’innocenza di una promessa di incontro e la brutalità di una violenza denunciata.

Il dibattimento andrà avanti per settimane e non sarà privo di contraddizioni. La ragazza, oggi adulta, dovrà rivivere davanti al tribunale quella che definisce la notte peggiore della sua vita. L’uomo, poco più grande di lei, difenderà la sua versione dei fatti. Alla fine saranno le carte, le testimonianze e la valutazione delle giudici a stabilire se quella serata al cinema Lingotto fu davvero una violenza o se, come sostiene la difesa, ci sia stata una diversa lettura dei gesti e delle parole.

Intanto resta la dimensione umana: una giovane che a diciassette anni vide la sua fiducia infranta, e che oggi chiede che quel dolore non resti senza risposta.

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