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17 Settembre 2025 - 09:26
Il ritorno del gipeto sulle Alpi piemontesi
Ali che sembrano vele, oltre due metri e mezzo di apertura, si muovono lente sopra i pendii rocciosi, scrivendo cerchi invisibili nell’aria: il gipeto, l’avvoltoio barbuto che un tempo dominava le Alpi piemontesi, non è più soltanto un ricordo delle cronache naturalistiche di inizio Novecento. È tornato, e con lui torna un pezzo di storia naturale fatta di errori umani, di estinzioni locali e di tentativi pazienti di restituire alla montagna ciò che la montagna aveva perso. La sua scomparsa, consumata nei primi decenni del XX secolo a colpi di fucile e pregiudizi, sembrava definitiva. Si pensava che la leggenda — l’animale accusato ingiustamente di predare agnelli e bambini — avesse chiuso ogni possibilità di futuro. E invece la scienza, con un progetto di reintroduzione avviato dai Parchi Alpi Cozie, sta lentamente ricucendo quella frattura.
Il gipeto, nome scientifico Gypaetus barbatus, è una creatura che non lascia spazio a indifferenza. Oltre all’aspetto imponente, è noto per un comportamento unico: lascia cadere dall’alto le ossa delle carcasse per frantumarle e nutrirsi del midollo, una specializzazione che lo rende uno dei più affascinanti esempi di adattamento naturale. La sua presenza dice molto sullo stato di salute degli ecosistemi alpini. Dove il gipeto vola, vuol dire che le catene alimentari funzionano e che i pascoli d’alta quota conservano ancora equilibrio. Ma il ritorno non è una favola: è fragile, reversibile, bisognoso di un controllo continuo.
Il primo segnale tangibile è arrivato dalle Valli di Lanzo, dove sono state registrate nidificazioni di successo. Non un dato scontato: la specie ha una produttività bassissima, con una sola coppia che raramente porta a termine più di un piccolo all’anno. Ma per gli scienziati e i guardiaparco si tratta di una conferma che la strada intrapresa non è vana. Gli avvistamenti, sempre più frequenti, disegnano una nuova geografia del gipeto sulle Alpi occidentali, che dialoga con i nuclei già consolidati in Svizzera e Francia.
Per raccontare questi progressi e renderli materia viva per il pubblico, sabato 20 settembre il Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand ospita la “Giornata del Gipeto”. L’appuntamento, a ingresso libero, si terrà nel Centro Visita di via Fransuà Fontan 1, a partire dalle 9. Sarà l’occasione per presentare i dati raccolti nel primo semestre del 2025: coppie territoriali, tentativi di riproduzione, osservazioni registrate durante la Giornata Internazionale di Osservazione (IOD) 2024. Numeri e mappe che servono a costruire una memoria collettiva, a mettere in fila tendenze e criticità, e soprattutto a preparare il terreno alla prossima IOD, in programma l’11 ottobre.
Qui entra in gioco un’altra parola chiave del progetto: citizen science. La scienza partecipata, che chiede a cittadini, appassionati di montagna e fotografi naturalisti di contribuire alla raccolta di dati, è una risorsa preziosa. Non sostituisce la ricerca specialistica, ma la amplia. Un avvistamento in più, segnalato con precisione e responsabilità, può diventare parte di una banca dati internazionale. È anche uno strumento culturale, perché chi partecipa smette di vedere l’animale come curiosità e inizia a percepirlo come elemento vivo di un sistema più grande.
Il ritorno del gipeto resta però una sfida. La sopravvivenza della specie in Piemonte dipende da fattori concreti: la riduzione del disturbo antropico nelle zone di nidificazione, la protezione legale rigorosa, la gestione dei pascoli e dei rifiuti organici in montagna, la continuità dei monitoraggi. Senza queste condizioni, le ali larghe del rapace rischiano di scomparire di nuovo dai cieli. L’impegno dei Parchi Alpi Cozie si muove proprio su questa linea sottile: combinare divulgazione e ricerca, raccontare la meraviglia del ritorno senza dimenticare che si tratta di un equilibrio instabile.
Non c’è spazio per romanticherie. L’avvoltoio barbuto non è un simbolo poetico, ma un termometro biologico. Osservarlo significa interrogarsi sulla qualità del nostro rapporto con l’ambiente alpino, sulla capacità di tenere insieme turismo, allevamento e conservazione. Perché il futuro del gipeto non dipende soltanto dai progetti di reintroduzione, ma anche dalle scelte quotidiane di chi abita, frequenta e sfrutta le montagne. E sabato a Salbertrand quelle scelte diventeranno materia di confronto, tra numeri, storie di campo e prospettive di lungo periodo.
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