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10 Settembre 2025 - 22:48
Il Ddl Montagna ha ottenuto il via libera definitivo dal Parlamento e segna una tappa importante per i territori alpini e appenninici. Un provvedimento atteso da tempo, che introduce nuovi strumenti di sostegno e riconoscimento per le aree interne del Paese. Ma l’entusiasmo si accompagna subito a una richiesta precisa: aumentare i fondi destinati alla montagna.
A dirlo con chiarezza è Marco Bussone, presidente nazionale dell’UNCEM, che non si accontenta della cornice legislativa appena conquistata. «Ora che il ddl Montagna è stato approvato in via definitiva dal Parlamento, è il momento di lavorare con governo e Parlamento per aumentare il fondo montagna. Da 200 milioni di euro si può salire, anche attivando risorse dalle concessioni, idroelettriche, autostradali, delle attività estrattive. La montagna non vuole più regalare risorse».
Parole che fotografano la linea dell’Unione nazionale dei comuni e degli enti montani: il passo compiuto dal Parlamento è importante, ma il percorso è appena iniziato. La strategia è chiara: utilizzare il nuovo quadro normativo per valorizzare le risorse prodotte in montagna, evitando che restino un beneficio per pochi o che si disperdano senza ricadute sui territori.
Bussone individua nel dialogo istituzionale il nodo cruciale per la fase successiva: «Ci sono importanti opportunità – sottolinea – alle quali lavorare con il ministro Calderoli, che Uncem ringrazia per il lavoro fatto insieme alla Capo Dipartimento D’Avena. Ora lavoriamo per fare bene i decreti attuativi e per spingere tutte le Regioni ad avere una legislazione adeguata sulla montagna, e a investire risorse dei loro bilanci».
Marco Bussone, presidente nazionale dell'Uncem
La partita si sposta quindi sulla scrittura dei decreti attuativi, che dovranno dare sostanza a principi e indirizzi generali, e sulla capacità delle Regioni di dotarsi di strumenti concreti. Non solo norme, ma anche fondi e misure capaci di incidere nella vita quotidiana delle comunità montane.
Il presidente UNCEM richiama un dato che non può passare inosservato: «Il Rapporto Montagne Italia Uncem ci dice che abbiamo 100mila persone che sono andate a vivere in montagna: agire per dare loro servizi è il nostro impegno da sempre». Un fenomeno che, negli ultimi anni, ha invertito la tendenza dello spopolamento, aprendo nuove sfide. Non basta che famiglie e giovani scelgano i borghi in quota: serve garantire scuole, sanità, trasporti, connessioni digitali e tutto ciò che rende possibile restare stabilmente.
Su questo terreno si inserisce anche la voce della politica piemontese. La senatrice Paola Ambrogio (FdI), commentando l’approvazione in Senato, ha ricordato che «il Piemonte è la seconda Regione in Italia per numero di Comuni montani, realtà spesso piccole per dimensioni demografiche, ma grandi per patrimonio culturale, sociale e ambientale. Sono comunità che rappresentano un autentico presidio del territorio, custodi di tradizioni e identità, che non saranno più lasciate sole ma sostenute dallo Stato e dalle istituzioni».
Ambrogio ha messo in evidenza che il ddl introduce «misure concrete: incentivi per l’imprenditoria, agevolazioni in ambito scolastico, contributi per l’agricoltura e l’allevamento, politiche mirate a fermare lo spopolamento e invertire la tendenza, senza dimenticare la garanzia di servizi pubblici essenziali come poste, banche, istruzione e sanità».
E ha aggiunto: «Finalmente dopo oltre trent’anni dall’ultima legge organica sulla montagna si colma un vuoto normativo inaccettabile. Questo ddl è una conquista per la Nazione, per il Piemonte e per le sue comunità montane. Fratelli d’Italia è e sarà sempre al fianco di chi difende e mantiene vivi i nostri borghi, perché senza la montagna non c’è futuro né identità per il nostro territorio».
La senatrice Paola Ambrogio
Il Ddl Montagna, nella sua versione definitiva, rappresenta dunque un riconoscimento politico e istituzionale del valore strategico dei territori montani per l’intero Paese. Ma a detta dell’UNCEM, non potrà essere considerato un traguardo se non sarà accompagnato da un deciso incremento del fondo dedicato, oggi fermo a 200 milioni di euro. Troppo poco per realtà che generano energia, acqua, turismo e risorse naturali, e che non vogliono più essere considerate una periferia sacrificabile.
Negli ultimi decenni, la politica italiana ha più volte tentato di dare una cornice organica alla questione montana, senza mai riuscire a produrre un risultato davvero duraturo. Già negli anni Ottanta, con la legge 991 del 1952 aggiornata nel 1971, si era cercato di rafforzare gli interventi a favore delle zone alpine e appenniniche, ma i fondi erano spesso dispersi in mille rivoli, incapaci di incidere davvero.
Un passaggio fondamentale arrivò con la legge 97 del 1994, la cosiddetta “legge sulla montagna”, che riconosceva peculiarità e specificità di questi territori, aprendo la strada a misure di sostegno economico e istituzionale. Tuttavia, senza un fondo stabile e con una frammentazione normativa tra Stato e Regioni, anche quel tentativo si rivelò parziale.
Negli anni Duemila si sono moltiplicate le proposte di riforma, spesso legate alla stagione delle aree interne e ai programmi di coesione territoriale. Ma gli stanziamenti, vincolati ai cicli dei fondi europei, non hanno mai garantito continuità. La montagna rimaneva così un tema evocato in campagna elettorale e dimenticato nella pratica di governo.
Con il Ddl Montagna appena approvato, l’Italia compie ora un salto in avanti, dotandosi di un impianto legislativo che, nelle intenzioni, vuole essere stabile e strutturale. La differenza, sottolineata con forza dall’UNCEM, sarà la capacità di accompagnare la norma con risorse reali e continuative, evitando di replicare la parabola di leggi rimaste incompiute.
È una sfida che si intreccia con la storia del Paese: le montagne hanno sempre rappresentato confine e identità, ma anche fragilità e spopolamento. Trasformarle finalmente in un motore di sviluppo sostenibile significherebbe chiudere un lungo capitolo di tentativi e fallimenti, aprendo una stagione nuova.
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