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09 Settembre 2025 - 15:04
Ceresole, la scuola più piccola d’Italia resiste con due alunni: ma rischia di chiudere
A Ceresole Reale, piccolo comune di 154 abitanti incastonato nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, l’anno scolastico si è aperto con la stessa immagine che da anni incuriosisce e preoccupa: una classe composta da soli due alunni. Sono due fratelli, Emanuele e Raffaele, che frequentano rispettivamente la quarta e la quinta elementare. La loro è la scuola più piccola d’Italia, un primato che suscita orgoglio e malinconia, perché dietro a quella foto simbolica si nasconde il rischio concreto di una chiusura imminente.
Il problema è tanto semplice quanto drammatico: il prossimo anno uno dei due ragazzi passerà alle medie, e rimarrà un solo bambino tra i banchi. In una realtà dove già oggi non si registrano nuove iscrizioni, l’orizzonte appare segnato. Il nodo centrale è quello dei finanziamenti. Lo Stato, di fronte a numeri così bassi, non garantisce più il mantenimento delle strutture, delegando la spesa alle Unioni montane e alle Regioni. Nel caso di Ceresole, è la Regione Piemonte a sostenere i costi, riconoscendo che l’istruzione, anche in montagna, è un servizio essenziale.
Per le famiglie locali, la chiusura sarebbe una perdita gravissima. La scuola è uno dei pochi presìdi che tengono viva la comunità. Senza di essa, i bambini dovrebbero affrontare ogni giorno oltre trenta minuti di auto e quasi mille metri di dislivello per raggiungere l’istituto più vicino. Un pendolarismo pesante, reso ancora più complicato dai mesi invernali, con strade ghiacciate e nevicate che rendono difficoltosi anche i collegamenti ordinari. In queste condizioni, la frequenza scolastica non è solo una questione di apprendimento, ma di diritto all’accessibilità.
La vicenda di Ceresole non è isolata, ma parte di una crisi più ampia. In Val Chiusella, a settanta chilometri di distanza, la dirigente dell’istituto comprensivo di Vistrorio ha visto negli ultimi dodici anni scendere gli iscritti da quasi 700 a 450. Le scuole hanno perso intere sezioni e, in molti plessi, si sopravvive solo con le cosiddette pluriclassi, in cui bambini di età diverse vengono seguiti insieme da un unico insegnante. Questo modello, nato come risposta d’emergenza al calo demografico, è ormai una realtà diffusa in molte zone rurali e montane del Piemonte.
Il sindacato Cisl e diversi dirigenti scolastici hanno sottolineato come le pluriclassi non debbano essere viste unicamente come un segnale di arretramento. Con insegnanti motivati e preparati, possono diventare uno strumento di didattica personalizzata, capace di valorizzare le differenze e rafforzare il senso di comunità. Non mancano esempi virtuosi di scuole che hanno saputo trasformare la limitazione numerica in una risorsa, sperimentando percorsi innovativi, anche grazie ai fondi del PNRR. Ma resta evidente che senza investimenti stabili e senza un piano nazionale, i territori più fragili rischiano di vedere cancellati i loro presìdi educativi.
In questo quadro, l’Uncem – l’Unione dei Comuni montani – ha chiesto al Ministero dell’Istruzione di aprire un tavolo permanente sulla riorganizzazione delle scuole alpine e appenniniche. La questione non è soltanto didattica: chiudere una scuola in un paese di montagna significa alimentare lo spopolamento, ridurre i servizi, accelerare il declino. La sopravvivenza di plessi come quello di Ceresole è quindi anche un atto di resistenza sociale e culturale.
La voce dei sindaci e degli amministratori locali è chiara: mantenere aperte queste scuole non è una spesa superflua, ma un investimento sulla sopravvivenza delle comunità. Ogni bambino che resta a studiare in paese è un segnale che la montagna può continuare a essere abitata e vissuta, senza diventare solo un museo a cielo aperto per turisti.
Il destino della scuola di Ceresole resta appeso a un filo. Per quest’anno i due fratelli garantiscono ancora la sopravvivenza della classe. L’anno prossimo, se non arriveranno nuove famiglie con bambini, tutto dipenderà dalla volontà politica e dalla capacità della Regione di sostenere un servizio che, numericamente, appare sproporzionato, ma che simbolicamente rappresenta il diritto a non essere dimenticati.
In un’Italia segnata dal calo demografico, con liste d’attesa ormai scomparse e plessi svuotati, la scuola più piccola del Paese diventa il simbolo di una sfida che riguarda tutti: decidere se i paesi di montagna debbano continuare ad avere futuro o se il loro destino sia l’abbandono.
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