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29 Luglio 2025 - 11:27
Boom di iscrizioni a Medicina dopo l’abolizione del test: sogno o caos annunciato?
Il numero è da capogiro: più di 54mila studenti hanno scelto Medicina, e in totale oltre 64mila sono le matricole tra Medicina, Odontoiatria e Veterinaria. Una valanga di iscrizioni che ha travolto gli atenei italiani, accendendo entusiasmi e polemiche. L’abolizione del test d’ingresso ha segnato l’inizio di una rivoluzione: da settembre, con il debutto del cosiddetto “semestre aperto”, la facoltà simbolo dell’élite accademica italiana si apre, almeno temporaneamente, a tutti.
Il risultato? File virtuali, segreterie intasate, aule insufficienti, e una domanda martellante: le università sono pronte? A guidare questa corsa al camice bianco è La Sapienza di Roma, seguita da Napoli Federico II e Bologna. Tre poli già sovraccarichi, che ora si trovano ad affrontare un flusso di studenti mai visto prima, con tutto ciò che ne consegue in termini di logistica, didattica e qualità della formazione.
Ma attenzione: l’accesso non è completamente libero. Il test a crocette è sparito, ma al suo posto arriva una selezione posticipata, con tre esami “di sbarramento” da sostenere nel primo semestre: chimica, fisica e biologia, che costituiranno la base di una graduatoria nazionale. Solo chi otterrà almeno 18/30 in ciascun esame potrà sperare di proseguire. Gli altri usciranno di scena, con l’unico vantaggio di non aver subito lo scoglio iniziale del vecchio test a quiz.
Il cambiamento è stato fortemente voluto dal Ministero dell’Università. La ministra Anna Maria Bernini lo ha definito un passo di civiltà, parlando di “accesso inclusivo” e “diritto a provare davvero”. Un modo, ha detto, per dare una possibilità a chi ha sempre sognato la medicina ma si è visto tagliato fuori da un test standardizzato.
Eppure le domande critiche non mancano. Primo: saranno davvero in grado gli atenei di reggere una tale massa di studenti anche solo per pochi mesi? Le aule bastano? I docenti sono sufficienti? I laboratori possono contenere tutti? Secondo: la selezione a posteriori è davvero più equa di quella preventiva? Non rischia di creare una grande illusione per migliaia di ragazzi, che si iscriveranno pieni di speranza solo per essere poi esclusi a semestre inoltrato?
Terzo punto, il più delicato: il numero programmato resta. I posti a disposizione alla fine non cambiano: sono circa 20mila su tutto il territorio nazionale. Significa che più della metà degli iscritti sarà comunque costretta a fermarsi. Con il rischio di perdere mesi, motivazione, e — in alcuni casi — anche tasse versate.
Il nodo centrale resta l’efficienza del sistema. Se il semestre aperto sarà gestito male, diventerà un imbuto frustrante per studenti e docenti. Se invece sarà usato come strumento per individuare il merito e dare tempo agli atenei di valutare davvero la preparazione degli studenti, potrebbe rappresentare una svolta epocale.
In molti, intanto, denunciano la mancanza di una fase di transizione vera. Nessuna università ha avuto il tempo tecnico per adeguarsi. L’ondata di nuove matricole sta creando caos nelle segreterie, ritardi nell’assegnazione degli orari e incertezza perfino sui materiali didattici. Alcuni rettori parlano già di emergenza logistica.
Ma la vera incognita riguarda la qualità della formazione. È sostenibile per i docenti universitari avere classi da 400 o 600 studenti? Come si garantisce un reale apprendimento in queste condizioni? Le premesse per un’esplosione del malcontento ci sono tutte.
Il semestre aperto, insomma, nasce come esperimento ma si presenta già come un campo minato. Sotto la bandiera della democratizzazione dell’accesso si nasconde una sfida di gestione senza precedenti per il mondo universitario italiano.
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