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Università di Medicina senza test? Le bugie del Governo Meloni

Altro che accesso libero: il “semestre aperto” è solo un test mascherato. Mesi di illusioni, soldi spesi e stress per finire in una selezione nazionale ancora più dura di prima

Università di Medicina senza test? Le bugie del Governo Meloni

Università di Medicina senza test? Le bugie del Governo Meloni

Si chiama "semestre aperto", ma per molti ha già il sapore amaro della prima, grande scrematura. È la grande riforma voluta dalla ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, che dal 2025/2026 promette di rivoluzionare l’accesso ai corsi di Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Medicina Veterinaria. Un cambiamento epocale, almeno nelle intenzioni, che mette da parte i test d’ingresso in favore di una selezione posticipata ma ancora molto rigida.

I numeri, intanto, parlano chiaro: sono 64.825 gli studenti che hanno completato l’iscrizione presso gli Atenei italiani per partecipare al nuovo percorso. Di questi, 54.313 hanno scelto Medicina e Chirurgia, 4.473 si sono orientati su Odontoiatria, mentre 6.039 hanno optato per Veterinaria. Una cifra record, che supera qualsiasi precedente storico per i corsi ad accesso programmato nazionale.

Il nuovo modello si basa su un semestre iniziale con accesso libero, durante il quale gli studenti potranno frequentare tre insegnamenti fondamentali: Chimica e propedeutica biochimica, Fisica e Biologia. Ogni materia garantirà 6 crediti formativi universitari (CFU), per un totale di 18. Al termine del semestre, però, si torna al filtro selettivo, questa volta sotto forma di esami nazionali uniformi, validi per la formazione di una graduatoria unica.

Il primo appello si terrà il 20 novembre 2025, il secondo il 10 dicembre 2025. Ogni esame consisterà in 31 domande, suddivise tra 15 a risposta multipla (con cinque opzioni di cui una sola corretta) e 16 a completamento. Il tempo a disposizione per ciascuna prova sarà di 45 minuti. Il punteggio sarà espresso in trentesimi, con possibilità di ottenere anche la lode, ma per essere ammessi al secondo semestre sarà indispensabile superare tutte e tre le prove con almeno 18/30.

Chi non riuscirà ad accedere a Medicina, ma avrà comunque ottenuto almeno la sufficienza in ciascuna materia, potrà proseguire nel corso affine scelto al momento dell’iscrizione, con il riconoscimento dei CFU acquisiti. Una sorta di “paracadute accademico”, ma che non consola più di tanto chi ha come unico obiettivo il camice bianco.

Tra entusiasmo e inquietudini: la riforma divide

Il Ministero parla di “rivoluzione democratica”, ma in rete, tra i corridoi universitari e dentro le associazioni studentesche, la percezione è molto più sfumata. Da una parte c’è l’abolizione del famigerato test d’ingresso, da sempre criticato per la sua arbitrarietà. Dall’altra, però, si alza il timore che il nuovo meccanismo sia ancora più selettivo, solo spostato in avanti di qualche mese.

Secondo i primi calcoli, solo una minoranza degli oltre 54mila iscritti a Medicina riuscirà a entrare nel secondo semestre. La riforma, per ora, non ha previsto un aumento sostanziale dei posti disponibili, che restano legati alle capacità organizzative e strutturali delle singole facoltà. E allora, viene da chiedersi: è davvero così aperto questo semestre?

L’ANDU, Associazione Nazionale Docenti Universitari, ha parlato di “riforma a costo zero per lo Stato ma molto costosa per gli studenti”. Critiche anche dalla Federazione degli Ordini dei Medici, che teme l’effetto opposto: un numero troppo elevato di aspiranti medici, in assenza di un piano pluriennale di assunzioni, rischia di alimentare illusioni e frustrazioni.

Sui social, intanto, la nuova modalità viene già ribattezzata “semestre della roulette”. Studenti e genitori si chiedono se abbia senso sostenere mesi di lezioni, spese di affitto e trasporti, per poi trovarsi esclusi in base a tre esami nazionali standardizzati. In molti temono che, paradossalmente, il vecchio test fosse più sincero, almeno per la sua immediatezza.

La ministra Anna Maria Bernini respinge le critiche e rivendica la bontà della riforma: “Abbiamo voluto superare una selezione fatta di quiz e fortuna per sostituirla con un semestre formativo, dove contano lo studio e l’impegno. È una riforma che ridà fiducia nella capacità degli studenti, non nel caso”.

Eppure, la tensione resta alta. Le università si preparano a gestire una platea enorme di matricole, con aule da trovare, docenti da impiegare, carichi didattici da redistribuire. Le famiglie fanno i conti con i costi di un semestre che non garantisce nulla, se non l’incertezza del risultato.

Insomma, se il test d’ingresso era un salto nel buio, il semestre aperto rischia di diventare una lunga corsa a ostacoli, con un traguardo ancora tutto da decifrare. Il camice bianco resta un sogno, ma il percorso per raggiungerlo, oggi più che mai, sembra una sfida a eliminazione indiretta. Altro che accesso libero.

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Altro che riforma: il test non è stato abolito, è stato solo travestito da semestre

La chiamano riforma. La vendono come rivoluzione. Ma è solo una presa in giro confezionata con cura mediatica. Il test di Medicina non è stato abolito: è stato traslocato, camuffato, diluito in tre esami spacciati per “insegnamenti”.

Cambia il contenitore, resta la sostanza: una selezione feroce, spietata e nazionale, con esami uguali per tutti, nello stesso giorno, con domande strutturate e soglie minime invalicabili. Se questo non è un test, cos’è? Un quiz evoluto? Una trappola semestrale?

La verità è che si è venduto l’accesso libero per nascondere una selezione ancora più subdola, che costringe migliaia di studenti a investire soldi, tempo, speranze e mesi interi di studio senza alcuna garanzia. Prima si pagavano 100 euro per tentare il test. Oggi si pagano sei mesi di affitti, trasporti, libri, corsi, università, pur sapendo che alla fine solo in pochi sopravviveranno.

Nel frattempo, le università incassano, le statistiche ministeriali possono vantare un boom di iscrizioni e la politica può raccontare che finalmente “si è superato il numero chiuso”. Ma è una bugia. Il numero chiuso c’è, eccome. È solo posticipato. E forse è pure peggio di prima, perché anziché un giorno solo, lo stress dura un intero semestre. E chi non ce la fa, resta con in mano tre esami, un pugno di CFU, e l’illusione spezzata.

Si poteva fare di più. Si poteva aumentare il numero dei posti veri, investire in borse, in strutture, in personale medico. Invece si è scelto il trucco da prestigiatore: togliere la parola “test” e tenere intatta la logica dell’eliminazione.

Chi aveva sperato in un cambiamento autentico, si ritrova di fronte una scatola vuota, ma con il fiocco colorato. Il sogno di diventare medico resta, ma ora ci si arriva con più fatica, più spesa e più delusione. Non è una riforma. È una beffa a norma di decreto.

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