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Aggressione transfobica a Ciriè, Devietti: “Chi subisce aggressioni deve sentirsi protetta”

La sindaca lancia l’allarme e rilancia il ruolo delle istituzioni

Loredana Devietti

Loredana Devietti

Cirié si è svegliata diversa, ma non per quello che è successo. Si è svegliata diversa perché, stavolta, qualcuno ha avuto il coraggio di dire tutto. Di denunciare. Di rompere il silenzio. Quella ragazza di 23 anni, accerchiata e insultata in pieno giorno, non si è nascosta. Ha preso fiato, è rientrata a casa, poi ha varcato la soglia della Tenenza dei Carabinieri e ha raccontato tutto. È stato l’inizio di un’altra storia. Una che non si chiude con la paura, ma con l’attivazione del Codice Rosso e un’indagine vera. Una storia che adesso chiama tutti a una presa di responsabilità.

Perché l’aggressione subita da questa giovane ragazza trans non è un episodio isolato. È il sintomo di un clima che resiste sotto traccia. Un clima che colpisce dove sa che fa più male: nel centro cittadino, davanti a tutti, mentre i dehors sono ancora pieni e le vetrine ancora illuminate. Un gesto codardo, aggravato dalla banalità del luogo e dall’assenza di reazione.

Ed è proprio questa apparente normalità a inquietare. Il fatto che un gruppo, composto in gran parte da minorenni, con la presenza complice di un adulto, si sia sentito legittimato a insultare, spingere, schiaffeggiare. A esercitare violenza sulla base di un’identità. La stessa identità che Cirié, con il suo Pride di provincia, ha scelto da anni di proteggere e celebrare. Ma oggi, più che mai, quel gesto di civiltà rischia di apparire decorativo, se non accompagnato da azioni concrete, continue, radicate nella quotidianità.

Lo sa bene la sindaca Loredana Devietti Goggia, che ha deciso di intervenire con parole nette e pubbliche:

«Cirié è una città ospitale e inclusiva, lavoriamo da sempre per renderla migliore, non solo più bella ma anche più accogliente. Per questo, notizie come quelle diffuse in questi giorni che riguardano l’aggressione ai danni di una ragazza in centro città ci lasciano sorpresi e profondamente amareggiati».

La dichiarazione non si limita all’indignazione. È un’assunzione di responsabilità politica e civile:

«Non solo condanniamo con forza e decisione simili vili azioni ma siamo vicini alla ragazza che ha subìto queste vessazioni: il rispetto per l’altro – di qualunque orientamento personale o sessuale – è alla base del vivere civile e dei valori democratici che la nostra Amministrazione, da sempre e con grande convinzione, sostiene».

E ancora, un passaggio importante, perché parla non solo della vittima, ma del sistema che la deve proteggere:

«La ringrazio per aver denunciato con coraggio questo brutto episodio e ringrazio ancora una volta la Tenenza di Cirié per l’intervento tempestivo e per l’attenzione nei confronti di questo caso. Le persone oggetto di bullismo o di aggressioni di qualunque genere devono sapere di poter contare su professionisti in grado di prendersi cura delle vittime nella maniera più corretta ed efficace possibile».

Parole chiare. Ma ora servono fatti. Perché se è vero che la legge ha funzionato, che il Codice Rosso è scattato, che i Carabinieri hanno agito con prontezza, resta ancora il vuoto enorme di una cultura civile troppo debole per prevenire, per dissuadere, per educare.

Lo dimostra la reazione dei coetanei degli aggressori: il branco è noto, segnalato, già autore di molestie verbali. Eppure, niente li ha fermati. Né la scuola, né le famiglie, né il paese.

Ecco perché oggi, Cirié deve scegliere se restare la città del Pride o diventare anche la città del coraggio quotidiano. Perché i diritti non vivono di cortei annuali. Vivono nei corridoi delle scuole, nelle sale d’attesa dei consultori, negli sguardi dei passanti che decidono di non voltarsi. Vivono – o muoiono – nel silenzio complice della normalità.

Quella ragazza aggredita ha compiuto un atto politico: ha rotto lo schema, ha parlato, ha denunciato. Ma non può farlo da sola. Serve una rete. Servono istituzioni che sappiano tradurre l’inclusività in politiche, in presenze, in formazione. Serve che la provincia, così fiera e così fragile, non si limiti più a ospitare i Pride, ma li incarni.

Non è la città che è cambiata. È la coscienza che deve cambiare. E il tempo di farlo è adesso.

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