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24 Luglio 2025 - 17:33
Arriva la nuova garante per i detenuti piemontesi, ma... ammette di non sconoscere le prigioni
La nomina di Monica Formaiano a garante regionale dei detenuti del Piemonte ha acceso un acceso dibattito tra le forze politiche e nel mondo dell’associazionismo penitenziario. Il Consiglio regionale, a maggioranza di centrodestra, ha scelto l’avvocata ed ex assessora comunale di Alessandria per ricoprire un incarico che, per molti, richiederebbe competenze specifiche e una conoscenza approfondita del sistema carcerario. Un’esperienza che la stessa Formaiano ha ammesso di non avere pienamente, suscitando reazioni di perplessità e indignazione da più fronti.
Il passaggio più discusso riguarda proprio l’assenza di un percorso specifico nel mondo della giustizia penale e penitenziaria. A fronte di una rosa di diciotto candidati presentata al Consiglio, almeno nove erano garanti in carica o uscenti in Piemonte, figure già radicate nella realtà delle carceri e in grado di proseguire un lavoro complesso e delicato a contatto diretto con persone private della libertà. Nonostante ciò, il centrodestra ha optato per una scelta di partito, blindando l’elezione di una figura politicamente vicina a Fratelli d’Italia e poco inserita, fino ad ora, nella rete degli operatori carcerari.
L’ex garante Bruno Mellano, storico radicale e per anni punto di riferimento per le politiche carcerarie piemontesi, ha espresso pubblicamente il proprio rammarico. Insieme ad altri ventiquattro garanti attivi o ex in Piemonte, aveva firmato una lettera aperta rivolta ai consiglieri, invitandoli a selezionare un profilo motivato da competenze specifiche e sensibilità umana verso la popolazione detenuta. L’appello non è stato ascoltato.
Il curriculum di Formaiano parla chiaro: un passato amministrativo ad Alessandria, incarichi nella pubblica amministrazione locale e un percorso politico iniziato in Forza Italia e approdato recentemente in Fratelli d’Italia, dove si era candidata alle ultime elezioni regionali senza essere eletta. Nessuna esperienza sistematica nelle carceri, se non qualche ingresso sporadico come legale, a supporto di singoli clienti. Una distanza abissale rispetto alla complessità dell’universo carcerario piemontese, segnato da sovraffollamento, carenze sanitarie, tensioni tra agenti e detenuti e un drammatico aumento dei suicidi tra i reclusi.
A irritare le opposizioni è stata soprattutto la modalità con cui si è arrivati alla nomina: un processo segnato da chiusure e mancato confronto, senza coinvolgere le minoranze nella scelta di una figura che, per definizione, dovrebbe esercitare un ruolo di garanzia e indipendenza. I gruppi di Pd, Avs, M5S e Stati Uniti d’Europa hanno denunciato pubblicamente quello che definiscono un uso “proprietario” delle istituzioni, dove la vittoria elettorale viene tradotta in un controllo totale, anche su figure che dovrebbero restare fuori dalla contesa politica.
Il nome di Formaiano, secondo molti osservatori, sarebbe stato favorito anche dalla vicinanza con Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia con delega all’amministrazione penitenziaria e figura centrale di Fratelli d’Italia in Piemonte. Una dinamica che rafforza l’impressione di una scelta di fedeltà politica, più che di competenza.
Al netto delle polemiche, la nuova garante dovrà ora affrontare un compito delicatissimo. Il Piemonte è attraversato da numerose criticità sul fronte carcerario: dalle tensioni nel carcere di Torino al disagio diffuso nelle strutture più periferiche, dove la presenza del garante diventa spesso l’unico punto di contatto tra il mondo esterno e una popolazione dimenticata. Monitorare, ascoltare, intervenire, garantendo diritti e tutele fondamentali: questa è la missione che l’ufficio del garante impone a chi lo occupa.
La sfida per Formaiano sarà dimostrare di essere all’altezza, superando l’etichetta di “nomina politica” e costruendo credibilità sul campo. Ma il tempo stringe, e in un ambito in cui la fiducia è tutto, partire da zero potrebbe rivelarsi un ostacolo insormontabile.
Nel frattempo, il mondo associativo, i giuristi e chi lavora da anni nei penitenziari piemontesi continueranno a osservare con attenzione. Perché nelle carceri, più che altrove, le parole contano poco: servono presenza, competenza e impegno concreto. Tutto il resto rischia di diventare una mossa di partito sulla pelle dei più fragili.
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