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24 Luglio 2025 - 15:35
Una proteina finora ignorata potrebbe fermare la malattia: a Modena l'incredibile scoperta
Una proteina chiave potrebbe cambiare per sempre il modo in cui si combatte la mielofibrosi, una rara forma di tumore del sangue che colpisce il midollo osseo e può compromettere gravemente la qualità della vita. È quanto emerge da uno studio appena pubblicato sul Journal of Cellular and Molecular Medicine, frutto del lavoro del Centro Interdipartimentale di Cellule Staminali e Medicina Rigenerativa (CIDSTEM) dell’Università di Modena e Reggio Emilia, con il sostegno della Fondazione AIRC.
Il bersaglio si chiama CD44, una proteina di membrana finora sottovalutata, ma che in realtà sembra avere un ruolo centrale nei meccanismi attraverso cui le cellule tumorali sfuggono al controllo del midollo osseo e colonizzano la milza. È proprio questa migrazione anomala a scatenare uno degli effetti più drammatici della mielofibrosi: l’emopoiesi extramidollare, ovvero la produzione incontrollata di cellule ematiche in organi che non sono deputati a farlo. Il risultato è una splenomegalia grave, cioè un ingrossamento anomalo della milza, che può causare dolore, anemia, infezioni ricorrenti e peggioramento complessivo delle condizioni del paziente.
Per la prima volta, il team coordinato dalla professoressa Rossella Manfredini è riuscito a mappare con precisione i passaggi molecolari che portano a questa migrazione. In particolare, è stato evidenziato come l’interazione tra monociti e cellule staminali emopoietiche tumorali, mediata proprio dalla CD44, sia la miccia che innesca il processo. La strada è ancora lunga, ma la scoperta offre uno strumento concreto per lo sviluppo di farmaci mirati in grado di intervenire prima che i danni diventino irreversibili.
La mielofibrosi è una malattia complessa, poco conosciuta al grande pubblico ma altamente invalidante. Fa parte del gruppo delle neoplasie mieloproliferative croniche e colpisce in genere persone tra i 50 e i 70 anni. I sintomi variano, ma comprendono stanchezza cronica, febbre, dolori ossei, perdita di peso e infezioni frequenti. In alcuni casi, può evolvere in leucemia mieloide acuta, con esiti molto gravi.
Fino ad oggi, le opzioni terapeutiche erano limitate: terapie di supporto, trapianto di midollo, e alcuni farmaci in grado di rallentare la progressione. Ma nessuna soluzione risolutiva. La nuova prospettiva aperta dallo studio del CIDSTEM punta invece su una medicina di precisione, capace di agire direttamente sui meccanismi biologici della malattia. Un cambio di paradigma che potrebbe ridurre effetti collaterali e migliorare nettamente la sopravvivenza e la qualità della vita dei pazienti.
Intanto, mentre la ricerca avanza, dalle strutture sanitarie arriva un grido d’allarme. La Città della Salute di Torino lancia un appello urgente: “Sangue e plasma sono in calo, donate prima di partire”. L’estate, con le partenze e il caldo, riduce le donazioni ma non ferma il bisogno. E per i malati di mielofibrosi, così come per chi affronta chemioterapia, trapianti o emorragie improvvise, ogni sacca può fare la differenza.
L'invito è chiaro: donare è un gesto semplice, ma fondamentale. In molti casi, le trasfusioni di sangue o di piastrine sono indispensabili per tenere sotto controllo la malattia o per consentire l’accesso a trattamenti intensivi. E mentre la scienza guarda al futuro con nuove speranze, è ancora la solidarietà quotidiana a tenere in piedi il presente.
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