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Piemonte, ogni cittadino spende 31 euro l’anno per prestazioni che dovrebbero essere gratis

La delicata crescita dell'intramoenia in Piemonte: tra tempi d'attesa, politica e libero mercato dei medici ospedalieri

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Piemonte ogni cittadino spende 31 euro l’anno per prestazioni che dovrebbero essere gratis

La libera professione dei medici ospedalieri, in Piemonte, non è più un fenomeno marginale. Secondo l’ultimo rapporto del Ministero della Salute, aggiornato al 2023, ogni cittadino piemontese spende in media 31 euro l’anno per prestazioni sanitarie a pagamento effettuate da medici del Servizio sanitario regionale. Un dato che colloca il Piemonte ai vertici della classifica nazionale, immediatamente dopo Emilia-Romagna (37,8 euro) e Valle d’Aosta (33,9).

Ma dietro ai numeri si nasconde una realtà molto più complessa: quella di una regione in cui una fetta rilevante dell’attività libero-professionale viene svolta al di fuori degli ospedali pubblici, in studi privati e ambulatori esterni.

Si parla, tecnicamente, di intramoenia allargata. Una soluzione adottata quando le strutture sanitarie non sono in grado di garantire spazi, attrezzature o orari compatibili con l’attività a pagamento dei medici. Nel 2023, in Piemonte, questa modalità ha rappresentato il 16% dell’intera attività libero-professionale. Peggio hanno fatto solo Campania (30%), Lazio (23%) e Basilicata (22,5%).

Il Ministero sottolinea come in sette regioni – tra cui Piemonte, Lombardia, Liguria e Lazio – solo una parte minoritaria delle aziende sanitarie riesce a garantire spazi interni adeguati alla libera professione: si va dal 6 al 50% del totale. Al contrario, in territori come Veneto, Friuli, Abruzzo e Toscana, la totalità dei medici che esercitano l’Alpi può contare su strutture adeguate all’interno degli ospedali.

Piemonte e la crescita della sanità privata

Il tema è delicato, e al centro del dibattito politico. Da un lato c’è la necessità, sempre più pressante, di contenere i tempi d’attesa nel sistema pubblico, dall’altro c’è la crescita dell’Alpi come risposta (a pagamento) a una domanda di prestazioni che il SSN non riesce a soddisfare nei tempi richiesti. In mezzo ci sono i medici ospedalieri, che cercano di conciliare l’attività ordinaria con la libera professione, spesso in condizioni logistiche sfavorevoli.

Secondo i dati del Ministero, nel 2023 il Piemonte ha registrato 131,6 milioni di euro di ricavi da attività libero-professionale, a fronte di 102,4 milioni di costi, con un saldo positivo di 29,1 milioni. In termini assoluti, si tratta di un risultato significativo, ma ben distante da quello della Lombardia, che ha chiuso con 73,4 milioni di saldo attivo, e dell’Emilia-Romagna, con 40,6 milioni.

A Torino, il tema è diventato uno degli assi portanti della riorganizzazione sanitaria guidata dalla Città della Salute. L’obiettivo è riportare all’interno degli ospedali la maggior quota possibile di attività libero-professionale, riducendo la dipendenza dagli studi esterni. Un passaggio fondamentale per recuperare trasparenza, equità e controllo su un settore che, per sua natura, sfugge in parte alla programmazione pubblica.

In parallelo, è in discussione in Consiglio regionale una proposta di legge firmata da Luigi Icardi, ex assessore alla Sanità, che punta a uniformare l’applicazione dell’intramoenia in tutte le aziende sanitarie piemontesi. Una norma pensata per correggere le disomogeneità attuali, che vedono Asl con buona dotazione di spazi e altre completamente prive di ambienti idonei.

Sulla questione è intervenuto anche l’attuale assessore regionale alla Sanità, Alberto Riboldi, il quale ha ribadito che la Regione lavora al fianco dei medici per risolvere le criticità. Ha precisato che le direttive trasmesse ai direttori generali delle Asl sono chiare e vengono applicate nel rispetto della normativa nazionale, sottolineando che la relazione del Ministero fotografa la situazione al 2023 e servirà come base per interventi correttivi già avviati.

Questa partita si gioca però su più fronti. I cittadini, sempre più spesso, si trovano costretti a pagare visite specialistiche per accorciare tempi d’attesa troppo lunghi nel sistema pubblico. I medici, al contrario, difendono la possibilità di esercitare in libera professione come forma di autonomia e riconoscimento professionale, soprattutto a fronte di retribuzioni ospedaliere non sempre competitive.

Il nodo resta politico e organizzativo. Finché gli ospedali pubblici non garantiranno spazi adeguati, sarà difficile riportare l’intramoenia “in casa”. E finché il servizio pubblico continuerà ad accumulare liste d’attesa, la sanità a pagamento crescerà, trasformandosi in un sistema parallelo, ma non sempre trasparente.

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