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Lo Stiletto di Clio
14 Maggio 2025 - 17:09
La chiesa parrocchiale di San Pietro in Vincoli sul finire del diciannovesimo secolo
Lo scorso 10 maggio, incontrando i cardinali, papa Robert Francis Prevost si è soffermato sulle ragioni che lo hanno indotto a scegliere un nome pontificale di altri tempi. Ce n’è a sufficienza per dissipare dubbi e incertezze: «Leone XIII, con la storica Enciclica “Rerum novarum”, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro».
Il motivo principale, insomma, è costituito da un voluto riferimento alla famosa enciclica che Leone XIII (il romano Vincenzo Gioacchino Pecci) promulgò il 15 maggio 1891 e su cui si fonda la dottrina sociale della Chiesa. Agli immemori cattolici del ventunesimo secolo, quel vecchio documento dice ben poco. All’epoca, però, suscitò un’autentica ondata di emozioni nelle grandi città come nei piccoli centri rurali, tanto in Italia quanto nel resto del mondo. Infatti l’enciclica offriva uno strumento per respingere i dogmi del liberismo economico, richiamando l’attenzione sui costi umani che l’inarrestabile processo d’industrializzazione comportava. Nello stesso tempo respingeva la dottrina socialista, «falso rimedio» a problemi reali. Implicitamente, il papa ribadiva che la fede religiosa non è riducibile a un’insignificante questione privata, cioè a una mera faccenda di coscienza o di sacrestia.
Nel suo «Diario di un curato di campagna», il francese Georges Bernanos (1888-1948) spiega: «La famosa enciclica di Leone XIII, voi la leggete tranquillamente, […] come una qualunque pastorale di quaresima. Alla sua epoca, […] ci è parso di sentirci tremare la terra sotto i piedi. Quale entusiasmo! Ero, in quel momento, curato di Norenfontes, in pieno paese di miniere. Quest’idea così semplice che il lavoro non è una merce, sottoposta alla legge dell’offerta e della domanda, che non si può speculare sui salari, sulla vita degli uomini come sul grano, lo zucchero o il caffè, metteva sottosopra le coscienze».
Scriveva il pontefice: «Dei capitalisti e dei padroni [...] questi sono i doveri: non tenere gli operai in luogo di schiavi; rispettare in essi la dignità della persona umana, nobilitata dal carattere cristiano. Agli occhi della ragione e della fede non è il lavoro che degrada l’uomo [...]; quello che è veramente indegno dell’uomo è abusarne come di cosa a scopo di guadagno». Di grande interesse risultava il passaggio in cui si riconosceva la legittimità del movimento sindacale operaio.
Valga per tutti il caso di Settimo Torinese dove, sul finire del diciannovesimo secolo, l’industria era ormai radicata nel territorio e costituiva una sorta di volano per i commerci, l’artigianato, l’edilizia e i servizi d’interesse generale, fra cui le lavanderie. Nuove fabbriche aprivano i battenti, altre ampliavano l’attività produttiva, richiamando famiglie dai comuni limitrofi, dalla pianura vercellese e canavesana, dalle vallate alpine e dai centri collinari delle province di Torino e Cuneo. Sull’onda degli entusiasmi suscitati dall’enciclica di Leone XIII, i cattolici di Settimo non tardarono a organizzarsi.
Il papa Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci)
Fu il giovane prevosto Domenico Gobetto, originario di Gassino, responsabile della parrocchia di San Pietro in Vincoli fin dal 1889, a spingere il laicato cattolico sulla via dell’impegno attivo nella società. Nel 1894 nacque l’Unione cattolica operaia, i cui principi ispiratori non dovevano discostarsi troppo da quelli dell’Unione di operai cattolici sorta in Torino nel 1871 per iniziativa del sacerdote Leonardo Murialdo. Lo scopo del sodalizio era di «dare appoggio ai cattolici operai, industriali, artisti e negozianti, mantenendo vivo in ciascuno il sentimento religioso e promuovendo quelle opere che meglio concorrono all’uopo e specialmente al mutuo soccorso».
A quanto pare, dunque, richiamandosi all’enciclica «Rerum novarum» del suo illustre predecessore, Leone XIVintende porre in primo piano il problema della giustizia sociale, non separandolo da una prudente opera di rinnovamento della Chiesa, sollecitata a riconfermare, da un lato, la vocazione missionaria, specie nelle realtà più periferiche, e a essere vicina ai poveri, dall’altro, senza lasciarsi allettare dalle sirene della contemporaneità.
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