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Lo stiletto di Clio
07 Maggio 2025 - 23:24
La torre col rio Freidano in giorno di mercato, nel secondo dopoguerra
Nell’Archivio storico del Comune di Settimo Torinese si conserva un documento dal titolo «Visita del stato de’ beni et fabriche del feudo». È datato 28 aprile 1721. Si tratta della relazione di una visita ai beni feudali di Settimo: la effettuò l’avvocato Carlo Vincenzo Maraldi, accompagnato dai settimesi Giovanni Matteo Cuglierero e Lorenzo Gusano in qualità di esperti, nonché dal notaio Francesco Antonio Conti di Castellamonte. Di particolare interesse risulta la prima parte del documento, dedicata all’esame di ciò che restava del distrutto maniero medioevale.
La visita ebbe inizio dalle cosiddette fossa del castello, a sud del terrazzo naturale che divide il territorio da sud-ovest a nord-est. All’epoca vi prosperavano salici, peschi e gelsi. Una parte del terreno serviva «d’ayra per batter le messi», un’altra era occupata da «due tampe per far ingrasso». Subito dopo Maraldi ispezionò l’area all’interno delle fortificazioni. «Indi ascesi nel sito ove era il castello – annotò il visitatore – vi si vede la distrutione del muro per la fuga di trabuchi cinque circa», corrispondenti a quindici metri e mezzo. Dappertutto si scorgevano «pezzi di muro rovinati e pietre». Del portone d’ingresso rimaneva solo «una apertura grande senza seraglia».
A settentrione vi era «un sito piano inculto»: si trattava della parte superiore di una cantina, la cui entrata non risultava visibile. Nelle immediate vicinanze si trovavano altri due locali sotterranei. Il primo, una «cròta», andava «a terminare in una rottura di muro di cinta di detto castello». Il secondo era una «giasera», cioè una ghiacciaia: coloro che la tenevano in affitto pagavano un canone annuo di cinque capponi. Noci e gelsi crescevano anche nel «sito del corpo del castello».
La torre di Settimo in una rara immagine risalente al primissimo Novecento
:La torre col rio Freidano in giorno di mercato, nel secondo dopoguerra
Una porta di rovere dava accesso alla torre, l’unico elemento ancora integro dell’antico maniero. Scendendo un’angusta scala di mattoni si raggiungevano i sotterranei, la cui chiave veniva custodita da un certo Taverna, «luogotenente in officio di podestà». Al primo piano della torre vi era una stanza con un camino e un piccolo forno, il tutto in buone condizioni. Oltre alle finestre, munite di inferriate, si vedeva un foro circolare con tanto di «feriera». Molto probabilmente si trattava di una delle aperture praticate in epoca successiva alla costruzione della torre, per consentire l’uso delle colubrine. I locali superiori dell’edificio non presentavano elementi di particolare interesse.
All’inizio del Settecento, dunque, il castello di Settimo appariva ridotto a un cumulo di macerie. Carlo Vincenzo Maraldi accenna all’esistenza di un’unica torre superstite, quella tuttora in piedi. Ogni altra struttura era stata atterrata, compreso il presunto torrione quadrangolare i cui resti furono riportati alla luce nella primavera del 1992, durante i lavori di sistemazione della piazza antistante al municipio. Da un atto del 1584 risulta che già allora il castello era in rovina. Presumibilmente fu danneggiato in modo molto grave al tempo delle guerre franco-asburgiche, tra il 1536 e il 1559.
I ruderi del castello erano ancora parzialmente visibili nell’Ottocento. In una relazione risalente alla prima metà del secolo si afferma: «Tra il sud-est dell’abitato sorge una torre di ragguardevole mole; le ruine, anche a dì nostri, fanno testimonianza della sua antichità; vi si ammirano bastioni atterrati, nello scavo dei quali si ebbe a rinvenire qualche divisa militare ed un pezzo di artiglieria di piccolo calibro».
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