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Da Milano a Torino per vedere la Sindone: il cammino di San Carlo

Nel 1578 l’arcivescovo Borromeo attraversò il Piemonte per venerare la reliquia, sostando anche a Settimo. Oggi, in epoca digitale, la Sindone torna protagonista in versione “immersiva”

Da Milano a Torino per vedere la Sindone: il cammino di San Carlo

La Vergine, il Beato Amedeo di Savoia e San Giovanni Battista sorreggono la Sindone (affresco secentesco nel Palazzo Madamo di Torino)

«O tempora, o mores!», dicevano i latini, rimpiangendo i bei tempi che furono. All’espressione si ricorre, oggi, in maniera scherzosa o sarcastica per stigmatizzare comportamenti che si ritengono figli del presente. In effetti, l’esposizione «digitale immersiva» della Sindone, in programma dal 28 aprile al 5 maggio, è davvero figlia del presente. Nessuna ostensione solenne della reliquia per l’anno giubilare, dunque, ma un’iniziativa tecnologica, unica nel proprio genere, nella piazza Castello di Torino, allo scopo di presentare il celebre lenzuolo che si ritiene abbia avvolto il corpo di Gesù nel sepolcro di Gerusalemme. «Sarà la prima ostensione multimediale della storia», ha commentato Roberto Repole, cardinale di fresca nomina per volontà del defunto Francesco.

Com’è noto, la Sindone giunse a Torino nel 1578. Il duca Emanuele Filiberto di Savoia la fece trasferire da Chambéry allo scopo di abbreviare il viaggio che San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, desiderava compiere a piedi per onorarla, dopo la terribile pestilenza del 1576. Il duca intendeva così rendere omaggio all’illustre prelato, ma anche consolidare il prestigio della città, divenuta capitale degli Stati sabaudi non molti anni prima.

San Carlo Borromeo raffigurato nella cappella numero 21 del Sacro Monte di Varallo

:San Carlo Borromeo raffigurato nella cappella numero 21 del Sacro Monte di Varallo

La cascina Rivo Martino di Settimo come appariva negli anni Sessanta del secolo scorso

La cascina Rivo Martino di Settimo come appariva negli anni Sessanta del secolo scorso

Pochi sono a conoscenza che San Carlo, nell’ottobre 1578, fece sosta anche a Settimo, non in paese, ma presso la località Rivo Martino, dove attualmente la strada di Mezzi Po si diparte dalla provinciale per Chivasso. Lo documenta un testimone dell’epoca, il gesuita genovese Francesco Adorno (1533-1586), che accompagnò l’arcivescovo di Milano, lasciandoci un prezioso diario.

Il pellegrinaggio del cardinale Borromeo fu programmato nei minimi particolari. «Le strade da seguire – sintetizza don Pietro Gauzolino, per lungo tempo parroco a Sant’Antonino di Saluggia, il quale studiò a fondo la questione – erano stabilite in precedenza e indicate da un incaricato del duca [di Savoia], così le soste preordinate con cibo e alloggio. Il criterio dato da San Carlo era quello di evitare i paesi, specialmente i più grandi. Il Pingonio [si tratta di Emanuele Filiberto Pingone che nel 1581 pubblicò l’opera “Syndon Evangelica”] dice che si evitò di passare da Chivasso proprio perché erano predisposti splendidi apparati in onore dell’arcivescovo. E soggiunge che San Carlo preferiva passare per i boschi e i luoghi deserti piuttosto che per i paesi».

Di buon mattino, i pellegrini partirono da Vercelli, città nella quale, arrivando da Novara e Milano, avevano trascorso la notte. Verso sera, stremati dalla fatica, entrarono a Cigliano. Il giorno seguente, prima dell’alba, si rimisero in marcia. La tappa successiva fu tra Brandizzo e Settimo, al Rivo Martino, dove esisteva il priorato di San Lorenzo, allora dipendente da Santa Maria di Vezzolano. Stando a testimonianze di poco posteriori, il priorato versava in pessime condizioni. Nel settembre 1584 il canonico Giovanni Battista Cavoretto osserverà che la chiesa restava aperta giorno e notte, poiché mancavano le porte. L’altare era in rovina, il tetto non esisteva più e l’intonaco cadeva a pezzi.

Quel giorno di ottobre, presso il Rivo Martino, ad attendere il cardinale Borromeo si trovavano l’arcivescovo di Torino, Gerolamo della Rovere dei signori di Vinovo, con alcuni canonici e sacerdoti. Fu preparato un frugale pranzo. «Siccome non c’erano scranni per tutti – aggiunge don Pietro Gauzolino – si sedettero per mangiare solo il cardinale Borromeo, l’arcivescovo e qualche canonico. Gli altri rimasero in piedi».

Subito dopo, nella cappella di San Lorenzo furono recitati i vespri. Al termine l’arcivescovo della Rovere partì alla volta della città per avvisare il duca di Savoia dell’imminente arrivo del cardinale. A piedi, alla volta di «Turino, che restava otto miglia discosto», come scrisse padre Adorno, s’incamminò anche San Carlo. Quindi l’arcivescovo della Rovere, tornato indietro sulla strada di Settimo, incontrò nuovamente il cardinale a circa un chilometro e mezzo dalla capitale sabauda. Nel frattempo giunse un drappello di soldati a cavallo per scortare i pellegrini. Il duca Emanuele Filiberto e il figlio Carlo Emanuele accolsero San Carlo nei pressi della Porta Palatina, fra i rintocchi a festa delle campane e le salve di artiglieria.

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