AGGIORNAMENTI
Cerca
Lo Stiletto di Clio
01 Maggio 2025 - 15:08
Gli assabesi che furono ospitati a Torino nel 1884
Gli assabesi? Chi sono costoro? Alla domanda, oggigiorno, ben pochi sanno rispondere. Ciò non toglie che la loro storia s’intrecci strettamente con quella dell’Italia dopo l’unificazione e, in particolare, con le vicende di Torino, non più capitale dei Savoia.
Il termine «assabesi» individua gli abitanti della regione di Assab, nel Sud della Dancalia, lungo la costa occidentale del Mar Rosso, in Eritrea. La baia omonima e il suo inospitale entroterra furono acquistati nel 1869 dall’esploratore ed ex missionario ligure Giuseppe Sapeto (1811-1895) per conto della Società di navigazione Rubattino, che intendeva collocarvi un deposito di carbone. La compravendita, in realtà, nascondeva le mire espansionistiche del governo presieduto dal savoiardo Luigi Federico Menabrea nell’Africa orientale. Tredici anni più tardi, infatti, Assab passerà formalmente all’Italia, la quale darà così inizio alla propria politica colonizzatrice.
Manifesto per l'Esposizione generale italiana che si tenne a Torino nel 1884
Gli Assabesi giungono a Torino
E Torino che cosa c’entra? C’entra perché sei indigeni del luogo (tre uomini, una donna e due bambini) furono ospitati in città per l’Esposizione generale del 1884, la stessa che condusse all’edificazione del borgo e della rocca medievalinel parco del Valentino. Proprio lì fu allestito un villaggio dancalo dove gli indigeni finirono in bella mostra.
Di quella dimenticata vicenda tratta l’ultimo libro di Maurizio Aragno, stimato medico oculista a Settimo Torinese, cultore della storia sabauda e piemontese. Edito da Pathos Edizioni, il volume s’intitola «Assabesi a Torino». «Quando ebbe inizio la nostra avventura coloniale» è il sottotitolo.
Per comprendere la questione occorre inquadrarla opportunamente nel contesto delle rassegne etniche di gruppi umani. Queste riscuotevano, durante la seconda metà dell’Ottocento, grandissimi successi un po’ in tutt’Europa, da Parigi a Berlino e da Amsterdam a Zurigo, ma anche oltreoceano (Filadelfia, Boston, Chicago, ecc.).
Non vi è dubbio che si trattò di un’iniziativa inconcepibile ai giorni nostri poiché permeata di sentimenti discriminatori e segregazionistici, già allora non del tutto convincente, stando ai ripetuti moniti del conte Pasquale Stanislao Mancini(1817-1888), ministro degli Esteri nel governo presieduto da Agostino Depretis, affinché non si fomentasse la morbosa curiosità dei visitatori che accorrevano in gran numero a Torino.
Sennonché la realtà storica presenta risvolti che sfuggono alle disamine approssimative e poco circostanziate. Il villaggio africano, infatti, trovò un’insolita collocazione accanto al borgo medievale: durante l’Esposizione, numerosi figuranti in abiti d’epoca animarono la strada, la piazza del castello, le botteghe e i cortili, rievocando la vita quotidiana di un centro rurale del Piemonte quattrocentesco. Trasferendo un angolo di Africa nel parco del Valentino, i responsabili dell’iniziativa vollero ricreare l’aura esotica della Dancalia, proprio come si fece con l’atmosfera medievale del borgo, ma pure con altri ambienti pittoreschi: lo chalet delle Alpi, il nuraghe sardo, la pagoda, il chiosco orientaleggiante della birreria Dreher, ecc.
Oggigiorno, senza i figuranti e gli attori, il borgo medievale e l’annessa rocca risultano privi del fascino originario, come evidenzia un recente studio del Politecnico di Torino. Altrettanto sarebbe certamente accaduto col villaggio africano senza i sei nativi della Dancalia, regolarmente retribuiti come da contratto, vezzeggiati dalle pubbliche autorità e ricevuti in udienza privata dal re Umberto I e dalla regina Margherita.
A Maurizio Aragno, ricercatore attento e scrupoloso, va riconosciuto il merito di rispolverare per i lettori non specialisti, con un linguaggio fluido e tutt’altro che accademico, ma anche con quel briciolo di humour che non stride mai, una storia di altri tempi. Impreziosito da suggestive immagini d’epoca, il libro invoglia, fin dal titolo, alla lettura. Il che non è poco.
In appendice, l’autore rispolvera un’autentica chicca: il testo della farsa, tradotta in italiano, che il commediografo e avvocato Eraldo Baretti (1846-1895), originario del rione Piazza di Mondovì, dedicò alle peripezie dei sei africani nell’ex capitale sabauda.
L’opera andò in scena per la prima volta, il 20 ottobre 1884, al Teatro Rossini (non esiste più; sorgeva nella centralissima via Po, fra le vie Accademia albertina e San Massimo). Stampato nel 1928, il libretto col testo originario in piemontese è alquanto raro: nelle biblioteche pubbliche se ne trovano pochissimi esemplari.
TROVI QUI TUTTI GLI ARTICOLI DI SILVIO BERTOTTO CLICCA
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.