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Sempre più italiani dicono “no” alla donazione degli organi. Crescono i rifiuti, cala la fiducia

Il Centro nazionale trapianti lancia l’allarme in vista della Giornata della Donazione. Trento e Verceia i campioni della generosità. Ma la diffidenza avanza, e il dibattito resta aperto

Sempre più italiani

Sempre più italiani dicono “no” alla donazione degli organi. Crescono i rifiuti, cala la fiducia

In Italia, la generosità salva ancora vite, ma comincia a mostrare crepe profonde. Nei primi tre mesi del 2025, quasi 4 italiani su 10 hanno detto no alla donazione di organi e tessuti al momento del rinnovo della Carta d’identità elettronica (CIE). Lo segnala il Centro nazionale trapianti (CNT), che ha diffuso un report allarmante a pochi giorni dalla Giornata nazionale della donazione, in programma per l’11 aprile.

Dal 1° gennaio al 31 marzo, su circa 950.000 dichiarazioni, ben 380.000 persone (39,7%) si sono opposte al prelievo degli organi dopo la morte. Un aumento del +3,4% rispetto al 2024, segno che la diffidenza sta crescendo, complice una comunicazione che spesso si arena tra paure, falsi miti e silenzi istituzionali.

I consensi restano comunque la maggioranza, con il 60,3% (570.000 persone) che ha dato l’ok. Ma la forbice si sta stringendo, e le astensioni sono in calo (-0,6%), a dimostrazione che il tema divide e obbliga a prendere posizione.

Chi dice sì, e chi no?
L’Italia della donazione è a due velocità. In cima alla classifica delle province più generose c’è ancora una volta Trento, che svetta con un 73,6% di consensi e solo un 22,4% di opposizioni. Seguono Sassari e Verona, mentre tra le regioni primeggiano le Province autonome di Trento, la Valle d’Aosta e la Sardegna.

I dati sull'adesione alla donazione organi sono in calo

Tra i comuni più virtuosi, al primo posto c’è Verceia, un piccolo centro del Sondriese: su 158 cittadini, 138 hanno detto sì, uno solo ha detto no. Dopo di lei, Cinte Tesino (Trento) e Longano (Isernia), con l’ex regina della classifica, Geraci Siculo (PA), che scivola al quarto posto dopo tre anni da primatista.

Il dato più preoccupante non è solo l’aumento dei “no”, ma il clima culturale che li accompagna. L’informazione su come funziona la donazione, sui tempi, sulle garanzie, non è ancora patrimonio diffuso. Troppi ancora confondono la morte cerebrale con il coma, o temono – del tutto ingiustificatamente – che un consenso possa compromettere le cure in caso di incidente.

Serve chiarezza, non retorica. Serve spiegare che un sì può salvare fino a sette vite, che il prelievo avviene solo in condizioni rigorosamente accertate, che la famiglia viene sempre coinvolta e che la legge tutela i cittadini, non li sacrifica.

L’Italia resta tra i Paesi europei con il più alto numero di pazienti in attesa di trapianto, ma senza un cambio di passo nella cultura della donazione, il rischio è che le liste si allunghino e le speranze si affievoliscano. L’11 aprile, per la Giornata nazionale della donazione, non bastano le celebrazioni. Servono campagne vere, nelle scuole, nei quartieri, tra chi rinnova la carta d’identità senza sapere davvero cosa sta firmando. Perché dire sì non è un atto burocratico, ma un’eredità di vita che va oltre la morte. E ogni firma conta.

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