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21 Novembre 2025 - 17:01
La tragedia avvenuta nella notte tra il 30 e il 31 agosto del 2023 lungo i binari della stazione di Brandizzo, riaffiora oggi portando alla luce del sole ogni gesto, ogni voce, ogni errore di quei minuti. Nel fascicolo dell’inchiesta della Procura di Ivrea spuntano i video delle telecamere di sicurezza e le conversazioni registrate negli stessi istanti in cui cinque operai vengono travolti da un treno che viaggia a 130 chilometri orari. Materiale crudo, definitivo, che gli investigatori della Polfer hanno sovrapposto fotogramma per fotogramma alle telefonate, alle testimonianze, ai minuti concitati in cui si consuma una tragedia divenuta simbolo di un sistema di sicurezza fragile, abitudinario, privo di argini.
È un mosaico che ora si compone in modo quasi chirurgico: l’arrivo del convoglio, la convinzione — sbagliata, fatale — che fosse l’ultimo treno della notte, gli operai della Sigifer che si muovono sui binari per iniziare un intervento di manutenzione, la figura di Andrea Girardin Gibin indicata chiaramente nelle immagini, e dall’altra parte della linea Antonio Massa, caposquadra Rfi, che continua a telefonare al Centro operativo di Chivasso per ottenere un via libera che, in realtà, arriva quando i binari non sono più vuoti.
Gli investigatori lo dicono senza esitazioni: quella scena non è un’eccezione, è una prassi, sbagliata e rischiosa, ma abituale. Modalità consolidate nel tempo, che quella notte diventano una trappola perfetta.
Il materiale acquisito nell’inchiesta — due terabyte solo per la parte audio-video — mostra ciò che per mesi era rimasto confinato nelle testimonianze. E soprattutto fa emergere un punto: i lavori iniziano prima dell’interruzione formale della linea. Massa chiama Chivasso per avere conferme, ma gli operai hanno già superato la banchina.
Poco prima dell’investimento, il video mostra un treno transitare. Gli uomini della Sigifer credono che sia l’ultimo della notte. Sbagliano.
Ed è in quegli stessi istanti che Massa sta ancora chiedendo il via libera.
La strage avviene alle 23.49. Alle 23.50, Antonio Massa chiama il Centro Operativo di Chivasso. Quella telefonata è una ferita ancora aperta. La voce spezzata, la frase che non trova aria, il panico che travolge la grammatica. È tutto nelle registrazioni agli atti, ed è tutto riportato integralmente, esattamente così:
Massa: «Puttana! Sti ragazzi… Minchia, ho detto cazzo, aspettate, cazzo».
Centrale (donna): «Tutto a posto?»
Massa: «No, sto treno che è passato… credevo non ci fossero più treni e ha preso le persone. Le ha investite, cazzo. Chiamate la Polfer, chiamate tutti. Porca puttana!»
Centrale: «Ok, chiamiamo».
Massa: «Ma non era l’ultimo treno quello che…»
Centrale: «No, te l’avevamo detto. Ce n’era uno alle 23.50. Era ancora dentro l’interruzione».
Massa: «Mamma mia, cazzarola».
Centrale: «Chiamiamo, chiamiamo».
Massa: «Porca vacca, minchia, qua porca vacca, hanno perso la vita cazzarola».
Sono parole che non hanno bisogno di interpretazione. Collocate dentro le immagini della stazione, diventano ancora più violente. Appena un minuto prima, sui binari si vede l’ombra del convoglio che arriva e l’impatto che porta via tutto: non lascia scampo a Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Saverio Giuseppe Lombardo, Giuseppe Aversa, Kevin Laganà.

L’inchiesta, chiusa a luglio dalla Procura di Ivrea, vede 24 indagati: 21 persone e tre aziende, Rfi, Sigifer, Clf. Ottanta terabyte di dati: intercettazioni, video, turni, tracciati, testimonianze, protocolli.
Il nodo resta sempre lo stesso: perché gli operai erano sui binari prima dell’interruzione? Chi avrebbe dovuto fermarli?
Chi avrebbe dovuto proteggere quelle cinque vite?
La ricostruzione minuto per minuto delle telefonate precedenti è impietosa:
22.29. Massa prepara i lavori e chiede l’interruzione tecnica. Gli viene detto che l’ultimo treno è previsto per le 23.40, salvo ritardi.
23.27. Chiede conferma: il passaggio è alle 23.48.
23.46. Vuole attivare l’interruzione. Chivasso deve verificare un treno merci.
23.47. Si decide per una finestra tra 00.01 e 1.30.
A 23.50 la linea è ancora aperta. E il treno arriva.
Il fascicolo della Procura di Ivrea rende tangibile ciò che finora era solo ricostruzione tecnica: i video mostrano gli operai che entrano sui binari dopo il passaggio del primo treno, convinti fosse l’ultimo. Gli audio rivelano che Massa e Chivasso stanno ancora discutendo dell’interruzione. La prassi consolidata — “si può iniziare comunque, tanto il treno è passato” — diventa un errore mortale.
La vicenda professionale di Antonio Massa non dura oltre poche settimane. Rfi gli notifica una contestazione disciplinare. A metà ottobre arriva il licenziamento per giusta causa. Per l’azienda, il rapporto di fiducia è compromesso oltre ogni possibilità di recupero.
Massa reagisce con una lettera al sindacato Filt-Cgil: dice di aver agito «con prudenza e diligenza», di sentirsi trasformato in un “capro espiatorio”, travolto da una colpa «ancora prima del processo».

Antonio Massa davanti al Tribunale di Ivrea:
Di fatto, rinuncia alla procedura per impugnare il licenziamento. Il capitolo lavorativo si chiude così.
Resta aperto quello penale.
Gli investigatori spiegano che la scelta di non divulgare integralmente le immagini è stata inevitabile: troppa violenza, troppi dettagli impossibili da mostrare. «Abbiamo deciso di continuare il racconto solo attraverso le testimonianze audio per la crudezza delle immagini», si legge nel fascicolo.
Quello che resiste — e che ora, grazie alla sovrapposizione dei materiali, appare più chiaro che mai — è l’ultima domanda: quante persone dovevano fermare quei lavori prima che cinque uomini entrassero sui binari?
La telefonata delle 23.50 racconta il disastro. I video mostrano la prassi. Il fascicolo unisce i due lati della stessa verità: quella notte, a Brandizzo, tutto ciò che poteva andare storto è andato storto nella maniera più letale possibile.
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