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Ombre su Torino

L'amore impossibile tra un minorenne e una bella macellaia

Alfonso e Rosetta, il 1977, passione e morte

L'amore impossibile tra un minorenne e una bella macellaia.

Angela ha 39 anni e ha capito da tempo quanto la vita possa essere difficile.

È arrivata a Torino da Cerignola nel 1960 con un marito, un bambino in fasce, Alfonso, e, come quasi tutti gli immigrati dal sud, tanti sogni e speranze che non sempre si tramutano in realtà. Nel giro di qualche anno ha avuto altri due figli, Alessandro e Annamaria, e nei primi anni ’70, ha ottenuto la patria potestà di tutti e tre dopo aver divorziato dal marito, un violento che la picchiava di continuo, e che, incinta di 7 mesi, gli spezzò un braccio e poi venne successivamente condannato per molestie e sfruttamento.

Rimasta sola, attraversa un calvario fatto di fame e svariati problemi di salute che la fanno finire numerose volte in ospedale, dove, nel giro di qualche mese subisce tre interventi “demolitori” di cui il pudore non gli permette di specificare la natura. Spiragli di luce sembrano affacciarsi sulla sua esistenza quando viene assunta a servizio ad ore e, soprattutto, quando, nel settembre 1976, Alfonso trova lavoro come tipografo. Con due stipendi in casa l’aria in famiglia inizia a cambiare, ma, nel gennaio del 1977, succede qualcosa.

Angela non sa perché ma nota un repentino cambio d’umore del suo primogenito, Alfonso. Il giovane, 17 anni, inizia a mostrarsi inquieto, smette di mangiare, diventa sempre più nervoso, alternando giorni in cui sembra felice come se camminasse a due metri da terra a momenti di profonda tristezza.

Per la madre non ci sono dubbi: si è preso una cotta, si è infatuato di una ragazzina come lui, gli passerà in qualche mese. Niente di preoccupante, insomma.

Poi però iniziano ad arrivare una serie di telefonate che mettono in guardia la donna. Ascolta Alfonso perdersi in conversazioni lunghe, concitate, intense e che avvengono alle ore più disparate: a volte alle sei del mattino ma spesso anche di sera o di notte. Alle prime chiamate è proprio lei a rispondere. Dall’altro lato del filo sempre la stessa voce femminile ma non è una coetanea del figlio come immagina. È un’amica di famiglia che si chiama Rosetta Migliara, ha 32 anni ed è la proprietaria, insieme al marito Giuseppe Calleris, di due macellerie, una in via Madama Cristina 107 e una in piazza Santa Giulia.

Sulle prime Angela pensa che quella bella fanciulla da cui va sempre a comprare la carne sia l’intermediaria tra il figlio e la giovane di cui si era innamorato ma, dopo qualche insistenza, Alfonso confessa: ha perso la testa proprio per Rosetta. Difficile dargli torto. La Migliara è bionda, con due bellissimi occhi, un fisico mozzafiato e il savoir-faire di chi riesce sempre a convincere i suoi clienti a comprare una bistecca in più solo sorridendo.

I due iniziano a vedersi clandestinamente a casa di lei, in via Mercadante 100, senza disdegnare però qualche pranzo fuori, soprattutto in un una trattoria alla Gran Madre gestita da un amico del ragazzo, Pino Mandracchio. Le parole di quest’ultimo spiegano perfettamente cosa passasse per la testa del diciassettenne: “Ogni tanto la portava a mangiare qui. Entrava nel locale, guardandosi intorno, strizzando gli occhi, miope com’era, per cercare gli amici, i conoscenti, per avere quel cenno di consenso sull'amichevole invidioso, perché aveva al braccio quella donna dal viso dolce, bionda, appariscente, elegante in modo giusto. Quando è riuscita a portarla a mangiare qui alla Gran Madre è stato come riscattasse anche noi da mesi, anni, trascorsi a sentire soltanto il profumo delle belle donne quando passavano davanti ai dehors. Mi diceva di sentirsi finalmente contento, che lei era brava, dolce e che sapeva tante cose. Mi diceva che solo vederla sorridere lo faceva tornare a quando aveva otto anni, un ragazzino contento sulle strade polverose di Cerignola”.

Angela tenta in tutte le maniere di dissuadere Alfonso dal frequentare la sua amata ma il ragazzo è irremovibile, arrivando addirittura a proibire con crescente severità alla madre anche solo di sollevare il ricevitore agli squilli del telefono.

Nel frattempo, entrano in scena altri personaggi di questa vicenda. Sono persone senza nome, senza volto, vicini “attenti”, clienti pettegole, colleghi bottegai. Un esercito di voci soffuse, di bisbiglii che giudicano e che stabiliscono che la morale dell’epoca non può accettare che una donna di 32 anni vada con un adolescente. Lei viene definita una strega, lui un satiro e notizie della tresca arrivano fino alle orecchie del marito della macellaia, Giuseppe Calleris.

Alfonso, Rosetta e Giuseppe

A seguito di un primo colloquio tra i coniugi, Rosetta nega la relazione e, a maggio, è proprio lei a contattare Angela per rassicurarla: “Non ti preoccupare, tra di noi non c’è nulla. Sono solo fantasie da adolescente, non sono donna da mettermi con un ragazzo”. Forse è la verità, probabilmente no. Alfonso continua a passare le giornate al telefono, anche in agosto, al mare, a Finale Ligure: qui riesce a spendere 150 mila lire d’allora (qualcosa come 700 euro d’adesso) in chiamate e, una settimana prima del previsto, decide di tornare a casa per ributtarsi nelle braccia del suo amore proibito.

Sabato 27 agosto 1977.
Angela rientra da una giornata alle terme e trova Alfonso disteso sul letto, boccheggiante, cianotico. Ha ingerito 25 pastiglie di sonnifero, tentando di suicidarsi non riuscendo nel suo intendo solo grazie all’intervento della madre e a quello dei medici delle Molinette che lo sottopongono a un’energica lavanda gastrica.

Due giorni dopo.
Dopo aver discusso a lungo con Rosetta, Giuseppe, decide, intorno alle 21,30, di chiamare Angela per chiarire una volta per tutte la questione. Il colloquio è molto acceso e le posizioni sembrano distanti. Da una parte la madre di Alfonso che accusa la Migliaro di avere irretito il figlio, dall’altra Calleris che chiede veementemente spiegazioni, riferendo, quasi con sprezzo, di dire al ragazzo “di non fare lo scemo”.

Colpito nell’orgoglio il giovane si intromette nella conversazione, urlando a pieni polmoni: “E’ vero, ci vogliamo bene, anche sei lei continua a negartelo!”. Passa un attimo di silenzio e poi, dall’altra parte, la risposta della presunta amante: “Non mi sarei mai messa con te, questa storia è solo frutto della tua fantasia”.

Sono le 23,30. Alfonso, insonne, affranto, sconvolto dopo aver visto crollare improvvisamente il suo castello di carte amoroso decide esce, rimanendo in giro per tutta la notte. Alle 5 del mattino chiama la madre riferendo di stare molto meglio e che sarebbe andato direttamente a lavoro, senza passare da casa.

Passano quattro ore. Alla cornetta ci sono sempre Alfonso e Angela ma il diciassettenne non sembra stare affatto bene. Urla, singhiozza, si dispera e poi pronuncia poche ma semplici parole: “Mamma, sono un assassino. Ho dovuto farlo, non cercarmi più”.

Quella mattina, in realtà, il tipografo ha atteso che Rosetta rimanesse da sola a casa e con una scusa si è fatto aprire. Le ha chiesto perché non lo volesse più vedere, sentendosi rispondere che quella tra loro non era stata una storia seria, che era stato solo un gioco che per lei non significa niente.

A quel punto il ragazzo l’ha afferrata dalla gola e ha stretto forte, fino a sentire il corpo dell’amata afflosciarsi senza respiro. L’ha poi adagiata sul letto e, prima di uscire e chiamare i carabinieri per farsi venire a prendere, ha lasciato un biglietto con sopra disegnata una donna nuda e dietro una scritta: “Ti ho ucciso perché mi hai rovinato”.

Alfonso Picchirallo viene condannato l’anno dopo a 9 anni e 6 mesi in quanto minorenne al tempo dei fatti, grazie all’esclusione della premeditazione e per le attenuanti generiche. A mitigare la pena anche una consulenza psichiatrica che parla di un raptus dovuto “all’offesa di un sentimento infantile” e, soprattutto, la vera causa della morte di Rosetta che farà diventare il caso quasi un unicum nella storia della medicina forense torinese. Come sostiene in aula il luminare professor Baima Bollone, il perito incaricato dai magistrati ad effettuare l’autopsia, la donna non sarebbe morta per soffocamento o strangolamento ma per un riflesso nervoso che, sentitesi le mani al collo, le avrebbe improvvisamente fatto fermare il cuore.

È stata uccisa dal terrore, non dalla violenza fisica, come accaduto solo altre due volte su circa 6000 eventi simili analizzati nel corso del tempo.  

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