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Ombre su Torino

La strage del Villaggio Leumann

Una storia iniziata nel 1979. Ancora oggi senza fine?

La strage del Villaggio Leumann.

La strage del Villaggio Leumann

C’è una donna immobile, sola, ferma in mezzo a una stanza.

Guarda con insistenza lo stipite della porta davanti a sé ma quella è l’unica cosa che riesce a fare. È come se il suo corpo si fosse improvvisamente addormentato, come se le enormi mani di un burattinaio la tenessero piantata per terra rendendo vano ogni sforzo di opporsi. Da dove si trova può solo ascoltare quello che accade al di là del battente e non è nulla di rassicurante.

Percepisce lo scalpiccio di un uomo che si aggira per casa, lo sente salire le scale e, dopo un paio di minuti, avverte i passi rapidi dello stesso che si dirigono verso l’ingresso e poi fuori in strada. La donna si chiama Anna Actis, ha 45 anni ed è in quell’abitazione perché, oltre a essere la vicina della famiglia che ci abita, da qualche tempo gli dà anche una mano come colf, soprattutto dopo che la signora Vittoria è rimasta incinta.

Sono le 9,30 dell’11 maggio 1979 e la Actis è nella villa della famiglia Tenini, in via Condove 99 a Collegno, nel bel mezzo del Villaggio Leumann. Qui, in due piani e sedici diverse stanze, abitano Domenico Tenini, la moglie Vittoria Garrone, i genitori di lei, suo nonno e sua zia, Bianca Carrera.

Anna è immobile è terrorizzata perché, tra una faccenda e l’altra, all’improvviso si è trovata davanti un giovane sconosciuto con gli occhiali neri indosso, un cappello calcato sulla testa, una borsa a tracolla e una pistola in mano. Questi gli rivolge poche ma convincenti parole prima di chiuderla in una delle camere al piano terra: <<Lasciami andare o ammazzo anche te>>.

Quando la magione ripiomba nel silenzio, la governante trova il coraggio di uscire da dove era stata rinchiusa. Sembra tutto in ordine, non sembra essere stato rubato niente, probabilmente quel ragazzo non era un ladro. Il problema è che, all’ingresso del garage, a terra, c’è Bianca Carrera, 77 anni, colpita da almeno 5 pallottole. È ancora viva e, oltre a bisbigliare come un automa le parole “berretto” e “postino” indica con la mano verso l’alto. Morirà pochi minuti dopo.

La Actis chiama immediatamente la polizia e poi sale la scala a chiocciola che porta al piano superiore. Lo spettacolo è agghiacciante: nel suo letto c’è Vittoria Garrone, 25 anni, riversa in un lago di sangue, senza vita. L’assassino le ha scaricato addosso un intero caricatore di calibro 38, sincerandosi di attingerla più volte possibile al ventre dove portava il suo futuro nascituro. La testimone racconta di non aver udito alcun rumore d’arma da fuoco. Probabilmente è stato usato un silenziatore, il killer è un professionista?

Indagini scattate immediatamente si rivolgono in tutte le direzioni lasciando, inconsapevolmente, un esiguo ma, come vedremo, fondamentale vantaggio in termini di tempo all’assassino. Non reperendo nella vita e nel passato delle vittime nulla che possa fungere da movente per un crimine così efferato, viene ipotizzato quello della vendetta e che, probabilmente, il bersaglio principale era Vittoria e che la zia si è trovata solo nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Di sicuro chi ha colpito doveva avere familiarità con la casa e certamente doveva nutrire un odio feroce verso la ragazza. Gli spari nella pancia fanno pensare a un rituale: non voleva colpire solo la Garrone ma, soprattutto, la creatura che aveva dentro di sé.

I riflettori vengono puntati sull’attività del marito, il bar Mak 7 di Cascine Vica, e su un intenso via vai di giovani che passavano per la villa. Voci narrano che la “tea room” di Tenini fosse frequentata da pregiudicati, che fosse base di traffici strani e che forse qualcuno di questi aveva qualche affare col titolare che ha deciso di risolvere in tragedia. Alcune di queste persone, per altro, si sarebbero anche spesso recate a casa Tenini perché i coniugi (Domenico in carriera è stato anche turnista per Patty Pravo) tenevano lezioni di musica, piano lei, batteria lui.

Già il 12 maggio, con beffarda innocenza, La Stampa titola: “L’assassino sta per essere arrestato”.

Il giorno dopo viene fuori il nome del principale indiziato. È un tecnico della Rai di Torino che ha 32 anni e che è stato notato suonare in diverse band con Vittoria. Si chiama Antonio Portolese. Si arriva a lui perché è quello che più somiglia all’identikit fornito dalla Actis e per una serie di circostanze che, incastratesi tra loro, convergono tutte nei suoi confronti.

Intanto è lo stesso Domenico Tenini a parlarne: <<Già, adesso ricordo. Mia moglie mesi fa mi confessò di aver avuto un amoretto con quel Tony, ma ormai è acqua passata. Aggiunse che da quando sapeva che era incinta gli aveva detto di considerarla solo un’amica>>.

Solo un’amica? Così alcuni conoscenti stretti dell’uomo: <<Tonino la amava e si frequentavano da almeno dieci mesi. Tonino era educato secondo i principi della gente del Sud. Questo obbligato ménage a tre lo metteva continuamente in crisi. Forse pensava anche che il bambino di Vittoria che stava per nascere potesse essere suo. Chissà che cosa è scattato nella sua mente sconvolta>>.

Anche la madre di Portolese la vede diversamente: <<Era innamorato perso di quella ragazza. Noi non sapevamo che fosse sposata. Lo abbiamo "imparato" dai giornali. Forse aveva voluto andare ad abitare per conto suo proprio per essere più libero, per poter stare con lei con maggiore tranquillità. Quella ragazza prima telefonava spesso. Da circa un mese non ricevevamo più sue telefonate. Evidentemente aveva allentato gli incontri con Tonino. E lui era diventato triste e via via che trascorreva il tempo era sempre più depresso>>.

A collocarlo sulla scena del delitto, quasi involontariamente, sono proprio i genitori. La polizia, infatti, prima cerca Portolese alla Rai, dove gli viene riferito che lo stesso è in ferie da una settimana, poi nella sua abitazione, dove insieme a lui è sparita anche la sua 500 arancione e, infine, a casa di mamma e papà. Qui la madre, prima che gli inquirenti spiegassero il motivo della loro visita, domanda loro: <<Tempo fa mio figlio aveva comprato una pistola, una 38, siete qui per un controllo?>>. Alla stessa, inoltre, viene mostrata una borsa lasciata dall’assassino sul luogo del delitto con scritto sopra “Edmonton Journal” e non può che confermare che è del figlio e che gli era stata regalata dagli zii che vivono in Canada, proprio ad Edmonton.

Il colpevole, insomma, è proprio Antonio Portolese, folle di gelosia per essere stato lasciato a causa della nascita del bambino che Vittoria aveva in grembo quando è stata ammazzata. Il fatto è che le 48 ore che la polizia ha passato a indagare sui clienti del bar di Tenini gli sono state sufficienti per sparire nel nulla.

Aveva pianificato tutto. Il giorno prima aveva ritirato 500 mila lire dal conto e aveva affittato un furgoncino e una 127. Quest’ultima auto non verrà mai ritrovata mentre il camioncino verrà rinvenuto nei pressi di un torrente, come tentativo di inscenare un suicidio per il rimorso.  

Il 6 febbraio 1981, contumace e sospettato di essere fuggito in Canada dai parenti, l’uomo viene condannato a 30 anni per omicidio premeditato attenuato dal fatto che fosse incensurato.

Fine? No, perché nel 2003 il caso sembra riaprirsi quando alla squadra mobile di Torino arriva una segnalazione più precisa di altre. Portolese sarebbe effettivamente in Canada, nella zona di Toronto, dove si sarebbero trasferiti anche i genitori. Non ha più i capelli lunghi di 25 anni prima, è irriconoscibile, calvo, ingrassato, si fa chiamare ancora Tony ma ha cambiato cognome, sempre italiano, con tanto di fotografie e documenti.

Si è rifatto una vita, fa l’imprenditore, è una persona rispettabile, nessuno sospetta del suo passato. Questa pista, tuttavia, non porta alla sua cattura. Interessante però notare come, alla morte dei genitori in Canada, rispettivamente il padre nel 2015 e la madre nel 2020, nelle partecipazioni si fa menzione di un solo figlio, Roberto. Diverse voci hanno suggerito che questo escamotage fosse stato usato proprio per nascondere il fatto che Portolese fosse ancora vivo, in Canada e che i parenti sapessero benissimo dove fosse e come coprirlo.

Ad oggi, se non è passato a miglior vita, dovrebbe avere 78 anni. Forse c’è ancora tempo per trovarlo e mettere la parola fine a questa storia tremenda.

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La villa di via Condove

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