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Ivrea

Nell'inferno di Beit Ummar. Vivere in una prigione a cielo aperto, senza lavoro, senz'acqua, senza soldi.

Durante il collegamento streaming, emergono le drammatiche condizioni di vita nella comunità palestinese e l'impegno di Ivrea per offrire supporto concreto.

Beit Ummar

Beit Ummar, Palestina

A Beit Ummar, in Cisgiordania occupata, la vita quotidiana è una lotta per la sopravvivenza. Vale per tutti e 24 mila gli abitanti e sono sfide che sembrano insormontabili, in un contesto di privazioni imposte dall'occupazione israeliana.  

Di questo s’è parlato durante il collegamento in streaming tra il consiglio comunale di Ivrea e il sindaco di questo villaggio, un'iniziativa nata grazie ad un emendamento del consigliere comunale Massimiliano De Stefano ad una mozione della maggiorana di centrosinistra approvata qualche settimana fa.

Il dialogo si è concentrato sulla situazione critica e le esigenze urgenti della comunità palestinese.

Nasr Akhalil ha descritto una realtà estremamente difficile, con un aumento delle colonie e continue pressioni da parte dell'esercito israeliano. Ha sottolineato come le condizioni di vita siano peggiorate drammaticamente dopo il 7 ottobre, con restrizioni severe alla mobilità, blocchi stradali, demolizioni di case e gravi limitazioni nell'accesso a risorse essenziali come l'acqua potabile e l'elettricità. Ha specificato che molti abitanti vivono in una sorta di "prigione", con permessi necessari per ogni spostamento e una continua minaccia alla sicurezza e alla stabilità economica della comunità.

Beit Ummar è oggi un luogo in cui l'accesso all'acqua potabile è un lusso raro e prezioso. Gli abitanti possono accedervi solo tre giorni a settimana.

"Non possiamo lavarci, non possiamo cucinare, non possiamo nemmeno irrigare i nostri campi - ha raccontato il sindaco Nasr Akhalil - Ogni giorno è una lotta per avere abbastanza acqua per sopravvivere."

Le restrizioni non finiscono qui. Le strade che collegano Beit Ummar agli altri villaggi e alle città vicine sono spesso bloccate o pattugliate.

"Viviamo in una prigione a cielo aperto," ha aggiunto. "Ci vogliono ore per percorrere pochi chilometri e ogni volta dobbiamo superare controlli che sembrano fatti apposta per umiliarci e rallentarci."

L'agricoltura, che una volta era la linfa vitale dell'economia, è ora quasi impossibile. Le terre coltivabili sono state progressivamente sottratte dalle colonie israeliane in espansione e gli accessi ai campi sono spesso vietati o resi inaccessibili dai posti di blocco.

"Non possiamo raccogliere le olive, non possiamo vendere i nostri prodotti," ha spiegato Nasr Akhalil. "Siamo stati privati della nostra unica fonte di reddito."

beit ummar

Oltreché nei campi molti abitanti lavoravano nelle città vicine, ma ora, con le restrizioni sempre più severe, trovare e mantenere un lavoro è diventato quasi impossibile. "Ogni giorno qui ci svegliamo senza sapere come sfameremo i nostri figli. I soldi sono finiti e non abbiamo nessun sostegno."

Senza stipendi e senza occupazione, molte famiglie si trovano sull'orlo della disperazione.

I servizi essenziali sono al collasso e le istituzioni locali, come il comune di Beit Ummar, non hanno risorse per pagare i salari dei dipendenti o per mantenere i servizi di base.

"Non possiamo pagare i nostri lavoratori, non possiamo riparare le strade, non possiamo fare nulla," ha stigmatizzato il sindaco. "Siamo impotenti davanti a questa crisi."

La situazione ha raggiunto un livello di gravità insostenibile, culminando in tragedie come quella di una giovane donna incinta. Al nono mese di gravidanza, ha iniziato ad avere forti dolori durante la notte. La sua famiglia ha chiamato un'ambulanza, ma il veicolo ha dovuto percorrere una strada tortuosa e non asfaltata a causa dei blocchi stradali. Ogni minuto contava, ma l'ambulanza è stata costretta a deviare ripetutamente, impiegando ore per raggiungere l'ospedale più vicino. La donna è morta durante il tragitto, insieme al bambino che portava in grembo.

La sua storia non è unica. Ogni giorno, gli abitanti di Beit Ummar affrontano simili orrori e difficoltà, intrappolati in una realtà che sembra non offrire via di scampo.

Nonostante tutto, questa comunità non perde la speranza.

"Continueremo a lottare, continueremo a resistere," ha dichiarato il sindaco Nasser. "Non ci arrenderemo, perché questa è la nostra casa, il nostro paese. Meritiamo di vivere con dignità."

Il collegamento, oltreché uno scambio di informazioni, è stato anche un modo per mettersi a disposizione.

Beit Ummar chiede un’ambulanza, mezzi per il trasporto di acqua potabile e la costruzione di aree giochi sicure per i bambini. In questa direzione il consiglio comunale di Ivrea organizzerà una raccolta fondi.

Lo deve per andare un senso ad un gemellaggio nato nel lontano 2002 con il progetto "Varco di Pace".

Ed è stato Paolo Piras ad approfondire la storia e lo sviluppo di questo rapporto, sottolineando le varie iniziative di solidarietà avviate nel corso degli anni, come i campi estivi per i giovani, l'acquisto di materiali essenziali, e la collaborazione con diverse associazioni locali e internazionali.

Durante lo streaming han preso la parola in tanti. Oltre al sindaco Matteo Chiantore e al presidente del consiglio Luca Spitale anche la consigliera comunale Vanessa Vidano."Ci piacerebbe sapere - ha domandato quest'ultimo - cosa state portando avanti in questo momento difficile e in che modo noi potremmo eventualmente aiutarvi a supportare questa progettazione...".

Pierangelo Monti ha ricordato con emozione le visite passate a Beit Ummar e l'importanza del sostegno continuo.

"Molti di noi non hanno mai dimenticato Beit Ummar e la Palestina. Ogni sabato dal 7 ottobre ricordiamo la Palestina e le sofferenze di Gaza, così come quelle della Cisgiordania," ha dichiarato Monti, sottolineando l'impegno costante per la pace.

Gli ha fatto eco Rosanna Barzan ribadendo la gratitudine verso l'amministrazione di Ivrea per la sensibilità dimostrata nell'organizzare il "collegamento". "Questa serata - ha puntualizzato rivolgendosi a Nasr Akhalil  - è un inizio per conoscersi e per rispondere alle vostre necessità..." .

Ha preso la parola, e ha condiviso un ricordo, anche l'ex sindaco di Ivrea, Stefano Sertoli. 

"Anni fa - ha raccontato - ho avuto modo di arrivare a Gaza con un compagno di università che lavorava per la Croce Rossa Internazionale. Ho scoperto leggendo i giornali che nel deserto del Negev, Israele stava fabbricando la bomba atomica. Siamo passato vicini e ho scattato delle fotografie da lontano. Siamo stati raggiunti dai militari del Mossad che ci hanno identificato e sequestrato il materiale fotografico. Ho trascorso una settimana a Gaza City e ho visto bambini palestinesi che non potevano fare il bagno nel loro mare perché avevano accesso solo tramite una piattaforma delimitata dal filo spinato. Questo mi ha segnato profondamente. Non c'è politica nell'esservi vicini, ma solo la sensibilità di tutti noi cittadini. Vogliamo la pace e dobbiamo combattere per due popoli e due stati."

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