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Lo Stiletto di Clio
07 Gennaio 2024 - 10:02
«Addio, mia bella, addio. L’armata se ne va, se non partissi anch’io sarebbe una viltà!», cantavano i giovani che parteciparono alle guerre del Risorgimento italiano. Scritti dal fiorentino Carlo Alberto Bosi (1813-1886), poeta e patriota, i versi ebbero un’enorme popolarità. La canzone fu persino intonata da Luca Barbarossa e Raquel Del Rosario durante il Festival di Sanremo del 2011, in occasione dei centocinquant’anni dell’unità d’Italia.
Nei secoli, i sistemi di reclutamento dei militari, sono sensibilmente mutati. A seconda delle evenienze, nel Piemonte dell’«ancien régime», l’autorità centrale stabiliva il numero di soldati da arruolare in ogni comune. Toccava poi ai pubblici amministratori del luogo reperire, sotto la loro personale responsabilità, i giovani idonei. In base a un regio editto del 1714 la surrogazione volontaria di un militare era permessa esclusivamente fra parenti che portassero lo stesso cognome. Per le eventuali diserzioni dei figli si consideravano responsabili i padri.
Stando così le cose è abbastanza facile comprendere come il reclutamento finisse per assumere, fra i ceti subalterni, i caratteri del dispotismo e della soperchieria. Le prevaricazioni e gli abusi commessi con troppa frequenza dai sindaci creavano sentimenti di ostilità diffusa verso un servizio di cui la gente delle campagne non coglieva l’utilità. Afferma Guido Quazza (1922-1996): «Retorico appare, e non giustificato, il luogo comune di molti storici sull’attaccamento delle plebi contadine alla dinastia [sabauda] e sul diffuso sentimento guerriero nelle classi popolari piemontesi».
In genere era il sindaco della comunità che accompagnava le aspiranti reclute dal comandante della provincia per la debita accettazione. Nel 1746, ad esempio, il governatore Tana impose ai settimesi di inviare «due soldati in rinforzo della compagnia di riserva del reggimento» provinciale. A tal fine il consiglio scelse Francesco Bianco e Pietro Bussetto; contestualmente incaricò il sindaco Ottavio Elia di presentare i due giovani alle autorità militari.
Qualora le aspiranti reclute non fossero risultate idonee, i consiglieri comunali erano tenuti a rimpiazzarle tempestivamente con altre, senza frapporre scuse o giustificazioni di sorta. La stessa cosa si verificava nell’eventualità di un trasferimento volontario dei militari ad altri reparti oppure in caso di congedi anticipati o di sopraggiunte inabilità. Al citato Pietro Bussetto, che ottenne di entrare nel reggimento d’ordinanza «Guardie», subentrò il settimese Giovanni Quaglia. Quando questi chiese di passare nel reggimento «Monferrato», il suo posto fu preso da Domenico Benedetto, un compae-sano nominato secondo il solito sistema.
Emblematico è ciò che accadde nel 1756. Il 14 novembre di quell’anno, ottemperando a un ordine del governatore Villa, i rappresentanti del comune designarono Pietro Gallinato in sostituzione di Giovanni Mellano, militare nel reggimento della provincia, «dichiarato esente da ulterior servizio». Ma Gallinato venne respinto perché di bassa statura. Allora il consiglio propose Giuseppe Caudano che, però, fu riformato per lo stesso motivo (altezza di sole trentasette once e mezza, equivalenti a circa un metro e sessanta centimetri, invece delle trentotto richieste). Per soli due centimetri, anche il sostituto di quest’ultimo, Giorgio Aragno, non superò l’esame della statura. Altrettanto accadde a Bernardino Burzio. Finalmente, dopo quattro nomine invalidate, il comandante provinciale accettò Giovanni Burzio, fratello di Bernardino, sciogliendo la comunità dall’obbligo di ulteriori adempimenti.
La popolare espressione «tiré ‘l nùmer» trae origine dalle richieste numeriche di soldati che le autorità militari avanzavano periodicamente ai comuni. Quando il numero dei giovani superava quello stabilito, ogni decisione veniva demandata alla sorte. Erano arruolati coloro che, da un bussolotto, estraevano un biglietto con un numero inferiore o pari a quello dei militari richiesti; tutti gli altri potevano ritenersi congedati.
Cantavano i coscritti di Settimo: «Col dësgrassià dla testa plà / l’ha fame àbil, l’ha fame àbil... / Col dësgrassià dla testa plà / l’ha fame àbil a fé ‘l soldà».
Alle «solite dicerie di parzialità» nella designazione delle reclute fa riferimento un verbale di età napoleonica (18 vendemmiaio dell’anno XI, cioè 10 ottobre 1802) della municipalità di Settimo. La forma di governo era radicalmente mutata, non così i problemi che immancabilmente sorgevano a causa della coscrizione. In quella circostanza, per dissipare ogni sospetto, si estrassero pubblicamente i nominativi davanti alla chiesa parrocchiale di San Pietro in Vincoli, dopo la benedizione eucaristica della domenica pomeriggio. Un bambino, il «piccolo infante cittadino» Pietro Viora, fu incaricato dell’estrazione.
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