Cerca

Punto Rosso

Sgarbi istituzionali e occasioni mancate

Verso l’istituzione consiliare, verso l’istituzione del carcere, verso la direttrice...

carcere di Ivrea

In carcere

La decisione dei consiglieri del centro-destra Cantoni e Garino di disertare il consiglio comunale straordinario convocato nella Casa circondariale di Ivrea, non può che essere classificato come “sgarbo istituzionale”. 

Sgarbo verso l’istituzione consiliare, verso l’istituzione del carcere, verso la direttrice, i lavoratori e i volontari, verso il garante, peraltro espressione del consiglio comunale, e anche verso i detenuti. Stupirsi della iniziativa e bollarla come pura azione propagandistica è una motivazione debole e pretestuale per giustificare quella assenza. Gli altri consiglieri di minoranza infatti erano presenti, consapevoli dell’importanza di far entrare l’assemblea pubblica cittadina nel carcere, e anzi dalla loro parte è arrivata la proposta di non dividersi fra maggioranza e minoranza ma di star seduti insieme dalla stessa parte.

Infatti, il carcere e l’obiettivo della pena come indicato nella nostra Costituzione all’art. 27 (Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato), riguardano tutte e tutti, senza distinzione alcuna.

E anche il benaltrismo (la critica ad ogni azione altrui con il classico “ben altro si poteva fare …”) affermato con esternazioni come “Con quale criterio è stata presa la decisione di farlo in carcere e non in ospedale, in un quartiere o in una piazza qualsiasi?” è stucchevole. Il regolamento non prevede certo una sola seduta per consiliatura fuori dal palazzo comunale, si facciano dunque promotori questi consiglieri di un consiglio comunale straordinario sulla sanità, sui trasporti, i temi non mancano. Facciano del “ben altro!” il bene nostro.

E che occasione han perso i consiglieri Cantoni e Garino di vivere nella loro esperienza consiliare un momento non rituale, a diretto contatto di un mondo e situazioni di vita reale che necessitano, come tante, la piena attenzione delle istituzioni. Han perso l’occasione di accogliere le denunce e le testimonianze non solo dei detenuti, ma anche dei volontari e di chi nel carcere lavora, come gli agenti penitenziari, attraverso la voce dei loro rappresentanti sindacali.  

In consiglio comunale para il Garante Raffaele Orso Giacone

In consiglio comunale para il Garante Raffaele Orso Giacone

Eppure, la loro parte politica, essendo molto attenta alla sicurezza dei cittadini (ricordiamo solo il “decreto sicurezza” che porta il nome del leader leghista), dovrebbe avere particolare interesse a che nelle carceri si operi quella trasformazione auspicata dalla nostra Costituzione affinché la reiterazione del reato non sia così alta (il 70% in Italia).

Più le carceri saranno luoghi dove uomini e donne non vengono soffocati, umiliati, abbruttiti, ma possono crescere, riflettere, studiare e lavorare, interagire con il mondo fuori, meno avremmo bisogno di carceri, perché da queste uscirebbero persone diverse da quelle che sono entrate.

Provino a leggere i consiglieri e gli scettici gli articoli dei detenuti della redazione del giornale online dal carcere La Fenice, si può rimanere sopresi da tanta profondità, dai frammenti di vita storta, dalla volontà di riscatto, dagli spaccati di vita ristretta.

Si legga V.R. che scrive della paura di uscire: “Una paura molto diffusa tra i vari carcerati di tutta Italia, ovviamente questa paura non vuol dire che la persona che sta per uscire non sia felicissima ma più che altro è un timore verso quello che lo riguarderà una volta fuori, cioè la paura di tornare nuovamente a delinquere, paura di non trovare un posto nella società.

Si leggano le poesie de L’istituzionalizzato, come Un soffio di vita (… Anche se viviamo su pianeti diversi / e le alte mura di cinta ci separano / quella musica oltre le sbarre / e grida gioiose, allegre e spensierate di quei bambini / mi hanno tenuto compagnia. / Non lo sanno / ma inconsapevolmente / in questa cella / nel mio cuore / hanno portato / un soffio di vita) o i suoi articoli come Non era il mio destino. Era il destino consegnatomi dai miei genitori (I miei genitori entravano e uscivano dal carcere, sembrava quasi che si dessero il cambio: uno entrava e l’altra usciva e, a volte, capitava che fossero entrambi dentro. La mia infanzia non conobbe quell’amore, affetto, dolcezza e spensieratezza che ogni bambino dovrebbe vivere.).

Si legga Anonimo Toscano e la sua “Insostenibile leggerezza del vivere” (Ognuno propone una ricetta sul saper vivere, sono tutti master chef quando si tratta di comporre il menù della vita altrui, salvo diventare giganti dai piedi d’argilla quando si tratta di resistere alle intemperie della propria esistenza...).

Oppure Vespino che scrive “Quand’ero in libertà, forse per pigrizia mentale, forse perché ho sempre pensato che mai mi riguardasse, non ho mai avuto un’idea preponderante su questa realtà, [il carcere, ndr] né dal punto di vista istituzionale, né come deterrente al male sociale.

Ecco, leggendo queste riflessioni, queste storie, le poesie, i rimpianti, i rimorsi, le speranze narrate dall’interno del carcere, si può cercare di non essere come era Vespino che pensava che il carcere non lo riguardasse. 

DELLO STESSO AUTORE

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori