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Giorgio Armani intervistato da Enzo Biagi nel 1983: "Sono entrato nella moda per puro caso" (VIDEO)

Giorgio Armani si racconta in un'intervista del 1983: entrato nella moda "per caso" mentre era "imboscato dal servizio militare"

La notizia è arrivata poco dopo mezzogiorno del 4 settembre 2025: Giorgio Armani si è spento nella sua casa di via Borgonuovo, a Milano, all’età di 91 anni. Da mesi era in convalescenza, dopo un ricovero tenuto lontano dai riflettori, ma fino all’ultimo ha lavorato come sempre: controlli ai fitting collegato in video, appunti sulle collezioni, l’agenda puntata sulla sfilata del 28 settembre in Accademia di Brera, quella che avrebbe celebrato i cinquant’anni della sua azienda. Un epilogo che dice molto di lui: mai fermarsi, mai cedere, fino all’ultimo respiro al servizio del suo marchio.

Per Milano e per la moda mondiale la scomparsa di Armani significa perdere un riferimento assoluto. Non solo un stilista, non solo un imprenditore: Armani è stato l’uomo che ha imposto l’Italia come capitale del vestire. Ha liberato la giacca dalle impalcature interne, ha ridisegnato l’idea di eleganza maschile e femminile, ha insegnato al mondo che la sobrietà poteva diventare icona, che i colori neutri potevano avere più forza del clamore.

Nato a Piacenza l’11 luglio 1934, si trasferì a Milano nel dopoguerra. Provò la strada di Medicina, ma lasciò presto l’università. Dopo il servizio militare trovò un impiego alla Rinascente: commesso, vetrinista, apprendista di uno stile di vita che osservava mentre ancora non sapeva che avrebbe trasformato. Il vero salto arrivò con Nino Cerruti, dove nel 1965 lavorò alla linea maschile Hitman. Lì maturò un gusto per i tessuti, un senso per il taglio e, soprattutto, l’incontro con Sergio Galeotti, l’amico architetto che lo spinse all’indipendenza.

Il 24 luglio 1975, in corso Venezia a Milano, Armani e Galeotti fondarono la Giorgio Armani S.p.A.. La prima collezione, primavera/estate 1976, cambiò le regole del gioco. La sua giacca destrutturata, più morbida, più fluida, meno rigida delle giacche tradizionali, divenne subito un manifesto. Negli anni Settanta Milano stava diventando capitale del prêt-à-porter e Armani ne fu protagonista.

Il cinema amplificò la rivoluzione. Nel 1980, Richard Gere indossò i suoi completi in American Gigolò: da quel momento lo stile Armani non fu più soltanto degli addetti ai lavori, ma del grande pubblico. Sobrietà, linee pulite, colori neutri: l’eleganza italiana diventava un linguaggio universale. E nel 1982 la consacrazione: Armani sulla copertina di Time, fotografato da Bob Krieger. Uno dei pochissimi stilisti italiani a ricevere quell’onore.

Gli anni Ottanta e Novanta furono una scalata senza freni. Nel 1981 nascevano Emporio Armani e Armani Jeans, con l’aquilotto che sarebbe diventato simbolo di una generazione. Nel 1983 aprì la prima boutique a Milano e iniziò un impegno concreto per il patrimonio culturale, finanziando restauri con il FAI. Ma nel 1985 arrivò il colpo più duro: la morte di Galeotti. Da quel momento Armani si ritrovò solo a guidare l’impero. Eppure non vacillò: consolidò la struttura, tenne insieme famiglia e collaboratori fidati, trasformò il marchio in sistema.

Non era solo moda: Armani costruì un universo riconoscibile. Comunicazione, architettura, spazi. Dall’Armani/Teatro di Tadao Ando al Silos, museo-archivio che racconta la sua visione. L’Emporio Armani Magazine, negli anni Ottanta e Novanta, fu un’anticipazione delle strategie editoriali dei brand di oggi. Negli anni Duemila, la diversificazione: Armani Privé per l’alta moda, EA7 per lo sport, Armani Exchange per i giovani. Nel 2008 il sostegno diretto all’Olimpia Milano, la squadra di basket simbolo della città.

Il legame con il cinema non si è mai interrotto: dai film hollywoodiani ai red carpet, Armani ha vestito attrici, attori e registi, rafforzando il mito del suo stile. E se Milano lo ha avuto come patrono silenzioso, il mondo lo ha riconosciuto come l’uomo che ha ridefinito il concetto di lusso sobrio.

Negli anni più recenti Armani ha dato lezioni di fermezza. Nel febbraio 2020, in piena Milano Fashion Week, decise di sfilare a porte chiuse per l’emergenza Covid, destinando risorse agli ospedali. Nel 2022 fece sfilare senza musica, in segno di lutto per le vittime della guerra in Ucraina. Nel 2025, a pochi mesi dalla sua morte, aveva celebrato il 50° anniversario della maison con eventi e collaborazioni.

Lo stile Armani resta un lessico inconfondibile: linee nitide, proporzioni calibrate, colori che vanno dal greige al blu profondo. Un guardaroba pensato per resistere alle stagioni e agli eccessi, un’estetica che non urla ma impone rispetto. Ha cambiato il modo di vestire le donne nel lavoro, offrendo loro tailleur che non rinunciavano alla femminilità ma restituivano autorità; ha liberato l’uomo dall’armatura dei completi rigidi, consegnandogli una silhouette moderna.

La città potrà salutarlo all’Armani/Teatro di via Bergognone, dove la camera ardente sarà allestita il 6 e 7 settembre. I funerali, per volontà dello stilista, saranno in forma privata. Resta la sua eredità: un impero della moda, certo, ma soprattutto un modo di intendere l’eleganza come disciplina morale. Giorgio Armani non ha mai ceduto agli eccessi della moda veloce. Credeva in una sola regola: lasciare che sia lo stile a parlare, senza mai alzare la voce.

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