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Carcere di Ivrea tra isolamento e abbandono

Dall’incendio di una cella alla telefonata di 10 minuti a settimana

La scorsa settimana in commissione regionale si è parlato della carenza di medici e infermieri

A Ivrea "picchiato" un agente

Carcere

Giovedì scorso (ieri) nel carcere di Ivrea un detenuto ha dato in escandescenza incendiando la propria cella. Sfruttando il caos generato dall’incendio l’uomo ha aggredito un ispettore della polizia penitenziaria colpendolo alla testa con un fornello. A darne notizia l’Osapp, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria. 

“L’episodio avrebbe potuto avere conseguenze tragiche se non fosse stato per altri poliziotti, intervenuti prontamente per prestare soccorso - spiegano dal sindacato - l’ispettore e un altro agente hanno riportato lesioni significative e sono stati accompagnati in ospedale”. Se la caveranno con sette giorni di prognosi ciascuno e finisce qui la cronaca dell’avvenimento.

Nei giorni scorsi, però, s’è parlato del carcere di Ivrea anche con il dito puntato su un altro fronte, quello delle condizioni sanitarie.

L’occasione è stata l’audizione  dai rappresentanti delle Asl e degli Istituti penitenziari regionali nel corso della quarta Commissione regionale, presieduta da Alessandro Stecco e alla presenza del garante regionale delle persone detenute Bruno Mellano. 

Sono intervenuti rappresentanti dei 14 istituti penitenziari piemontesi (Alba, Alessandria, Asti, Cuneo, Biella, Fossano, Ivrea, Novara, Saluzzo, Torino, Verbania e Vercelli) e dell’Istituto minorile di Torino e delle rispettive Asl. 

Tra le criticità evidenziate una fa riferimento alla forte carenza di medici e infermieri, anche perché i contratti non prevedono la possibilità di svolgere altri incarichi e i confini tra sfera sanitaria e amministrazione penitenziaria sono poco definiti. E poi sulla carenza di servizi specialistici a disposizione dei detenuti, in particolar modo di psicologi e psichiatri. 

Durante i lavori sono anche emersi dei buoni propositi, come i tentativi, sviluppati soprattutto durante la pandemia di far uso sempre più estensivo della telemedicina. Tra le buone pratiche il presidente Stecco ha segnalato “quella dell’Asl di Torino che, con l’Ospedale Maria Vittoria, ha messo in organico delle specialità una persona per le visite nel carcere Lorusso e Cutugno”. Mellano ha annunciato la realizzazione, in collaborazione con i garanti comunali, di una scheda sanitaria per ogni Istituto detentivo del Piemonte. 

Lettere dal carcere

E poi? E poi per caso ci imbattiamo su una lettera di CM recentemente pubblicata dal giornale del carcere “La Fenice”. Dignitosa e straziante getta luce sulla profonda solitudine e l’abbandono che affliggono i detenuti. 

L’autore descrive la solitudine e l’abbandono come sensazioni estremamente dolorose con cui i detenuti devono imparare a convivere ogni giorno. 

La mancanza di affetto, la separazione dai propri cari e la privazione della libertà creano una combinazione che può portare alla pazzia se non affrontata con coraggio.

Contrariamente alla percezione comune che il carcere sia un luogo di rieducazione, CM sottolinea che spesso avviene esattamente il contrario. Fa notare come, ad esempio, i detenuti abbiano il diritto a soltanto una telefonata settimanale di 10 minuti verso la famiglia e a soli 6 ore al mese di colloquio o video colloquio con i propri cari.

Evidentemente queste limitazioni non solo causano sofferenza, ma rendono i detenuti nervosi e stressati. 

L’autore evidenzia anche il fatto che molti detenuti hanno familiari malati, e vorrebbero avere la possibilità di effettuare più chiamate per assicurarsi del loro stato di salute.

Morale?

L’Ordinamento Penitenziario, che prevede particolare attenzione alle relazioni dei detenuti con le famiglie, sembra essere messo in secondo piano, se non addirittura dimenticato. 

Tutti noi siamo consapevoli che abbiamo sbagliato e che dobbiamo pagare il nostro debito con la legge.

“Eppure - scrive - se guardiamo all’ordinamento penitenziario, l’ Art 28 (Rapporti con la famiglia) parla di particolare cura dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie. Ora una domanda sorge spontanea: come si può mantenere, migliorare un rapporto famigliare con solo una chiamata a settimana, e con sei  ore di colloquio mensili … come si fa? Diciamo come le cose veramente stanno? L’ordinamento penitenziario non viene quasi mai messo in atto, anzi molte volte viene messo nel dimenticatoio. E noi siamo costretti a subire questo distacco non da poco, ma tanto a soffrire siamo noi.  Tutti noi siamo consapevoli che abbiamo sbagliato e che dobbiamo pagare il nostro debito con la legge, ma quello che chiediamo e di scontarlo in maniera dignitosa, senza che ci levano i nostri pochi diritti che abbiamo. Ci sono tante domande che ci facciamo, ma il 99% delle volte tutte sempre senza risposte. Se nessuno ci dà voce, se nessuno ci ascolta non cambierà mai nulla, anzi andrà sempre a peggiorare con il tempo. Voglio solo ricordare che il detenuto che sconta una pena, non è un numero come veniamo classificati, ma siamo esseri umani con emozioni, sensazioni, sentimenti...”.

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