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Torino
18 Maggio 2023 - 00:44
Il Salone internazionale del libro di Torino è giunto alla sua trentacinquesima edizione. Sarà inaugurato il prossimo giovedì 18 maggio. Come di consueto, il programma prevede la partecipazione di noti ospiti, da Alessandro Barbero, il più social degli storici italiani, ad Alessandro Orsini, il docente di sociologia che si è fatto conoscere per le sue posizioni poco ortodosse sulla guerra in Ucraina.
Conferenze e dibattiti affronteranno, anche quest’anno, gli eterni problemi della lettura e del mercato librario. Giova forse ricordare che i caustici Carlo Fruttero e Franco Lucentini, in tempi ormai lontani, ebbero l’idea d’intrattenere il pubblico televisivo con una rubrica intitolata «L’arte di non leggere». La trasmissione era realizzata dal Centro di produzione della Rai di Torino. All’interno di uno studio privato, fra scrivanie ingombre di libri, tappeti, foto di famiglia e qualche soprammobile un po’ kitsch, l’inossidabile coppia di scrittori conversava di letteratura, saggistica, editori, critici, traduzioni, classici e altro ancora. Il tutto assai amabilmente, senz’ombra alcuna di saccenteria.
Uscì anche un volumetto che si apriva con una breve introduzione redatta dai due autori, Fruttero e Lucentini, nello stile incensatore e ruffiano dei soffietti editoriali. Seguivano sessantaquattro pagine assolutamente bianche, senza una sola riga a stampa. Di una provocazione si trattava, ovviamente, per dare maggior forza al titolo della rubrica televisiva, ispirato a una definizione di Arthur Schopenhauer, il fiero avversario degli idealisti alla Friedrich Hegel.
Non vale la pena – sostenevano Fruttero e Lucentini, parafrasando il filosofo del pessimismo metafisico – perdere tempo dietro a libretti e libracci di scarso valore. La vita umana è troppo breve per essere consumata con poco profitto sulla carta stampata: occorre apprendere «l’arte della selezione, dello scarto», e praticarla con metodo e rigore.
Ogni anno, in Italia, si pubblica una mole spropositata di volumi per soddisfare le esigenze dell’industria editoriale, ma non quelle della cultura. È facile rendersi conto che la maggior parte dei titoli in commercio è costituita da libri fittizi o «non libri», opere di scriventi, cioè di persone che scrivono, non di scrittori. Sono quei libri che gli editori chiedono a coloro che hanno raggiunto la notorietà giocando al calcio oppure occupandosi di diete, cucina, moda o pettegolezzi. E il lettore non compra il libro di uno scrittore, ma quello della persona famosa che vede in televisione o segue attraverso i canali social.
Poi vengono i libri ripetitivi, che non aggiungono nulla a quanto altri libri affermano, che si bruceranno nel giro di poche settimane senza lasciare alcun segno. Si prospetta un certo interesse per la divulgazione scientifica? Bisogna necessariamente mettere insieme una collana, fosse anche coi fondi di magazzino. Tanto ci pensano la Mara Venier, l’Antonella Clerici e la Chiara Ferragni [sic!] a promuovere l’iniziativa. Il pubblico mostra di gradire le biografie? Sotto, dunque, con le vite di personaggi famosi. È il momento del revival preistorico? Avanti con tirannosauri e brontosauri.
Ma il «vero» libro è un’altra cosa. Hermann Hesse, vincitore del Premio Nobel 1946 per la letteratura, diceva che «i libri hanno valore soltanto se guidano alla vita, se sanno servirla e giovarle, ed è sprecata ogni ora di lettura dalla quale non scaturisca per il lettore una scintilla d’energia, un senso di ringiovanimento, un alito di freschezza».
Spesso si sente affermare che il libro, per l’editore, non è che un prodotto in grado di fornire introiti, così come per il libraio è una merce non diversa da tante altre che si espongono sui banconi e si vendono. Ma per il lettore il libro è soprattutto un bene prezioso. Di qui la necessità di perfezionarsi nell’«arte di non leggere». «La condizione per leggere le cose buone è, infatti, di non leggere roba cattiva perché la vita è breve e il tempo e le forze sono limitati». Parola di Schopenhauer.
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