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15 Ottobre 2025 - 18:03
«A Gaza non ne ho visti tanti dimagriti come si diceva». Con questa frase, pronunciata durante un intervento al convegno organizzato dall’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei), il direttore di Libero Mario Sechi ha scatenato un’ondata di indignazione. Il giornalista, attuale responsabile della testata vicina al centrodestra, ha negato l’esistenza di una vera carestia nella Striscia di Gaza, parlando apertamente di “Pallywood”, termine usato dai circoli più radicali filoisraeliani per definire presunte messinscene propagandistiche palestinesi.
«Abbiamo visto i video – ha detto Sechi – io non è che ne abbia visti tanti dimagriti come si diceva. Certamente la guerra è una sofferenza e un errore, ma mi pare che le prove siano lì. Israele ha vinto bene, con il massimo della forza. Noi siamo dalla parte giusta», ha affermato durante il suo discorso, tra gli applausi di una parte della platea.
Le sue parole arrivano a pochi giorni di distanza dall’intervento della direttrice dell’Ufficio stampa Rai Incoronata Boccia, che nello stesso contesto aveva negato che l’esercito israeliano avesse mitragliato civili, parlando di “Oscar per la regia ad Hamas”. Un parallelismo che molti osservatori hanno letto come il segnale di una deriva mediatica negazionista sulla crisi umanitaria di Gaza.
La reazione del mondo dell’informazione e dei social è stata immediata. Giornalisti, attivisti e associazioni umanitarie hanno accusato Sechi di minimizzare la catastrofe in corso, definendo le sue parole “un insulto ai bambini malnutriti e alle famiglie affamate della Striscia”. Secondo l’ONU, Gaza vive «una delle peggiori crisi alimentari mai registrate», con un tasso di denutrizione infantile che ha superato la soglia di emergenza.
Anche sul piano politico non sono mancate le critiche. Parlamentari di opposizione hanno chiesto all’Ordine dei giornalisti di valutare l’opportunità di un richiamo formale: «Negare la fame a Gaza significa negare l’evidenza dei fatti e tradire il principio di verità che dovrebbe guidare chi fa informazione», ha dichiarato un deputato del Partito Democratico.
Sui social, l’hashtag #Sechi è diventato virale in poche ore, con centinaia di messaggi che accusano il direttore di Libero di essere “la voce della propaganda di guerra”. Alcuni utenti hanno condiviso immagini di bambini scheletrici e ospedali distrutti per confutare le sue affermazioni.
Nel frattempo, Sechi non ha ritrattato. «Non sono così idioti a Gerusalemme o a Tel Aviv da non sapere che quella battaglia è persa contro Pallywood», ha ribadito, lasciando intendere che l’opinione pubblica internazionale sarebbe vittima di “una campagna di menzogne costruita ad arte”.
Le sue parole, nel contesto di un evento istituzionale, segnano un nuovo punto di frattura nel rapporto tra giornalismo, etica e conflitto. In un momento in cui le Nazioni Unite e le principali agenzie umanitarie parlano apertamente di genocidio a Gaza, la scelta di minimizzare la tragedia suona come una provocazione politica travestita da analisi giornalistica.
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