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Miriam Adelson: chi è la miliardaria invisibile che muove la politica di Trump e Israele?

Tra potere economico, media e lobbying, la vedova del magnate dei casinò è diventata una delle figure più influenti e controverse dell’asse Washington–Gerusalemme

Miriam Adelson

Miriam Adelson: chi è la miliardaria invisibile che muove la politica di Trump e Israele?

C’è una donna, lontana dai riflettori ma presente in ogni snodo decisivo della politica americana e israeliana. Si chiama Miriam Adelson, e negli ultimi anni è diventata una delle figure più potenti e influenti del mondo occidentale. Medico, miliardaria, editrice e attivista, la sua ascesa ha cambiato gli equilibri del potere tra Washington e Gerusalemme, creando una rete d’influenza che tocca finanza, politica e media.

Dietro l’immagine discreta di filantropa si nasconde una stratega capace di spostare voti, condizionare decisioni di governo e finanziare intere campagne elettorali. Dalla Casa Bianca alle redazioni dei quotidiani israeliani, l’impronta di Adelson è ovunque.

Nata nel 1945 a Tel Aviv, da genitori sopravvissuti all’Olocausto, Miriam Farbstein – questo il suo nome di nascita – ha iniziato come medico specializzato nel trattamento delle dipendenze. Ma la sua vita cambia radicalmente quando sposa Sheldon Adelson, il re dei casinò di Las Vegas e uno dei più ricchi imprenditori del pianeta. Con lui costruisce un impero economico e mediatico che, dopo la morte del marito nel 2021, eredita quasi interamente, insieme a un patrimonio stimato oltre 40 miliardi di dollari.

Oggi, Miriam Adelson controlla una parte significativa della Las Vegas Sands Corporation, il colosso del gioco d’azzardo, ed è proprietaria del quotidiano israeliano “Israel Hayom”, noto per la sua linea politica filo-governativa e il sostegno costante alla destra israeliana. In un Paese piccolo come Israele, un giornale può valere più di un partito, e la capacità di influenzare il discorso pubblico fa di Adelson un soggetto politico a tutti gli effetti, pur senza alcun mandato elettivo.

Ma è negli Stati Uniti che la sua influenza ha raggiunto dimensioni eccezionali. Le sue donazioni ai Repubblicani sono tra le più alte mai registrate nella storia americana: centinaia di milioni di dollari destinati a sostenere campagne elettorali, fondazioni e lobby vicine a Donald Trump. Non si tratta di beneficenza, ma di investimento strategico. Adelson è stata una delle principali artefici del riavvicinamento ideologico tra Washington e Gerusalemme, spingendo la Casa Bianca verso decisioni storiche come il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele, lo spostamento dell’ambasciata americana e il sostegno agli Accordi di Abramo.

Secondo diversi analisti, il suo peso politico non si limita al sostegno economico. Attraverso la sua rete di fondazioni, think tank e media, Miriam Adelson ha contribuito a creare un ecosistema di potere che orienta il dibattito americano in senso filo-israeliano e conservatore. Le sue posizioni contro lo stato palestinese, la sua opposizione ai movimenti progressisti e il suo appoggio ai governi di destra in Israele fanno di lei un punto di riferimento per quella parte dell’establishment americano che vede in Israele un bastione ideologico e religioso.

Il suo legame personale con Trump è al centro di molte ricostruzioni giornalistiche. Negli anni della sua presidenza, l’ex inquilino della Casa Bianca ha più volte ringraziato pubblicamente Miriam e Sheldon Adelson per il sostegno “incondizionato”. Ma fonti interne riportano che le conversazioni tra i due fossero tutt’altro che formali: la miliardaria non si limitava a finanziare, ma interveniva direttamente su temi di politica estera, suggerendo strategie e indirizzi. Un’influenza che, secondo diversi osservatori, si è estesa anche oltre la presidenza, fino a modellare la linea del Partito Repubblicano nei confronti del Medio Oriente.

Il suo potere, tuttavia, non è solo politico ma strutturale. Con capitali enormi e una rete di media a disposizione, Miriam Adelson può orientare il consenso su scala transnazionale, promuovendo cause, candidati e visioni del mondo compatibili con la propria agenda ideologica. Un potere economico che si trasforma in potere culturale, e che solleva interrogativi sulla trasparenza democratica in entrambe le nazioni.

In Israele, il suo giornale “Israel Hayom” è accusato da anni di essere il megafono ufficioso del governo Netanyahu, e di avere contribuito a plasmare l’opinione pubblica in senso conservatore. Negli Stati Uniti, le sue donazioni hanno garantito accesso privilegiato ai vertici politici, creando un legame diretto tra denaro e decisioni governative.

Gli oppositori la descrivono come una regista silenziosa del potere, capace di agire dietro le quinte senza mai esporsi direttamente. Una donna che utilizza la ricchezza come leva politica, in un contesto dove le lobby e i super-donatori definiscono le priorità della politica più dei cittadini.

Le sue attività filantropiche – università, centri di ricerca, programmi di riabilitazione – contribuiscono a costruire un’immagine pubblica di benefattrice. Ma, osservano i critici, dietro la patina di solidarietà si nasconde una visione del mondo rigida, in cui l’equilibrio tra libertà, religione e potere tende a piegarsi in un’unica direzione: quella del nazionalismo religioso e dell’influenza ideologica mascherata da sostegno culturale.

In un’epoca in cui la politica globale sembra sempre più vulnerabile al peso dei miliardi e dei media, Miriam Adelson rappresenta la nuova forma del potere invisibile: quello che non si esercita nei parlamenti, ma nelle donazioni, nei giornali, nelle fondazioni e nelle relazioni personali con i leader.

Non è un caso che, come scrivono alcuni osservatori americani, “il nome Adelson sia diventato sinonimo di influenza”. Un’influenza che attraversa frontiere, istituzioni e governi, e che solleva la domanda più scomoda: chi decide davvero le politiche che cambiano il mondo, i cittadini o chi può permettersi di finanzarle?

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