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20 Settembre 2025 - 22:17
Un episodio avvenuto alla Casa Bianca rischia di diventare il simbolo del difficile rapporto tra Donald Trump e la stampa. Durante una conferenza nello Studio Ovale, il presidente americano ha interrotto bruscamente una giornalista che stava cercando di porgli una domanda sui piani di dispiegare la Guardia Nazionale a Memphis, definendola “odiosa” e aggiungendo: «Non parlerò con lei finché non la avrò chiamata». Senza concederle replica, Trump ha rivolto subito la parola a un altro cronista.
Il filmato è stato diffuso subito da numerose testate statunitensi e internazionali e ha rapidamente invaso i social. In poche ore è diventato virale, alimentando un’ondata di commenti e reazioni. Molti giornalisti, da Washington a New York, hanno parlato di un gesto preoccupante che rischia di incrinare ulteriormente il principio di libertà di stampa, pilastro della democrazia americana.
Non si tratta di un episodio isolato. Solo pochi giorni fa, prima di partire per un viaggio nel Regno Unito, Trump aveva liquidato in modo sprezzante la domanda di un cronista australiano che lo aveva incalzato sui suoi affari e le possibili incompatibilità con la carica presidenziale. La tensione tra il presidente e i media è dunque ormai strutturale, segnata da un linguaggio aggressivo che delegittima chi fa domande scomode.
Il termine “odiosa”, pronunciato davanti a telecamere e microfoni accesi, ha colpito con forza chi lavora nel settore dell’informazione. Diversi professionisti hanno espresso sgomento, ricordando che etichettare in modo insultante un reporter non è solo una caduta di stile, ma un segnale politico pericoloso: rafforza l’idea di una stampa “nemica” e rende più difficile il lavoro di chi ogni giorno deve vigilare sull’operato delle istituzioni.
Organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti civili hanno già più volte denunciato l’uso di toni intimidatori nei confronti dei media, avvertendo che questi comportamenti contribuiscono a un clima di delegittimazione che mina la credibilità del giornalismo indipendente. Non sorprende, dunque, che il video abbia superato rapidamente i confini americani: siti e televisioni globali lo hanno rilanciato come esempio di un rapporto sempre più conflittuale tra la Casa Bianca e l’informazione.
Alcuni analisti hanno sottolineato che episodi del genere potrebbero avere un effetto domino: se il presidente degli Stati Uniti può permettersi di insultare apertamente i giornalisti, cosa impedirà ad altri leader, in contesti meno democratici, di fare lo stesso? La domanda che rimbalza tra redazioni e associazioni professionali è semplice ma cruciale: fino a che punto si può spingere il linguaggio politico prima che diventi un vero e proprio ostacolo all’esercizio della libertà di stampa?
Quel “lei è odiosa” risuona oggi non solo come un attacco personale, ma come un messaggio politico: chi critica rischia di essere zittito. E proprio per questo il video continua a circolare, diventando il simbolo di una frattura che va ben oltre lo scontro personale tra un presidente e una giornalista. È il riflesso di un clima in cui il diritto a fare domande rischia di trasformarsi in un campo di battaglia.
Foto scattata durante l'ultima campagna per le presidenziali
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