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Leo Messi scoppia in lacrime durante l'ultima partita. Addio alla nazionale argentina? (VIDEO)

Due gol al Monumental, lacrime e nostalgia: l’Argentina teme che quella contro il Venezuela sia stata davvero l’ultima partita casalinga del suo numero 10

Lacrime, sorrisi e una doppietta che ha il sapore del commiato. Al Monumental di Buenos Aires, Leo Messi ha regalato un’altra notte da leggenda, forse l’ultima con la maglia dell’Argentina ieri, 5 settembre, davanti al suo pubblico. Non è ancora un addio ufficiale, ma le sue parole a fine partita hanno scosso un intero Paese: «Non ho ancora deciso sul Mondiale, vedremo come mi sentirò». Una frase sufficiente a gelare il sangue a milioni di tifosi che non riescono a immaginare un campionato del mondo senza il numero 10.

Contro il Venezuela è finita 3-0, con due gol di Messi a rendere più dolce e più dolorosa la serata. Il primo, un tocco sotto che ha trasformato un assist generoso di Julián Álvarez in un gioiello. Il secondo, un interno piede preciso, servito da Thiago Almada, che ha sigillato la vittoria e soprattutto il ricordo. Non c’è stata enfasi particolare, nessun gesto studiato: solo Leo che faceva Leo, naturale, essenziale, chirurgico. Eppure ogni tocco, ogni movimento, sembrava un saluto.

La cornice era già da celebrazione. Messi è entrato in campo insieme ai figli, accolto da un popolo che lo ha amato tardi, dopo anni di diffidenze e confronti controversi con Maradona, ma che ora lo venera come il più grande di sempre. Il Monumental ha cantato per lui, ha pianto con lui, ha vissuto ogni istante come fosse l’ultimo. Perché tutti sanno che potrebbe esserlo davvero.

La storia con l’Albiceleste non è stata lineare. Iniziata nel 2005 con un esordio traumatico – espulsione dopo 40 secondi contro l’Ungheria – sembrava destinata a un rapporto irrisolto. A lungo, Messi è stato accusato di non riuscire a trascinare la nazionale come faceva con il Barcellona. Ogni sconfitta diventava un processo, ogni finale persa un’accusa. Nel 2016, dopo l’ennesima delusione in Copa América, annunciò persino il ritiro, salvo poi tornare.

Poi è arrivata la redenzione. Prima la Copa América del 2021, poi soprattutto il Mondiale del 2022 in Qatar, che lo ha consacrato definitivamente anche in patria. Da allora Messi non gioca più per dimostrare qualcosa: gioca per regalare emozioni. La sua poesia calcistica è diventata più matura, più serena, quasi spirituale. Ogni gesto, un dono. Ogni gol, un ricordo da custodire.

Ed è questa dimensione che ha fatto vibrare il Monumental nella notte di ieri. Non c’era più la tensione di un esame da superare, ma la nostalgia di un addio che si avvicina. Le lacrime scivolate sul suo volto parlavano di malinconia, di paura di lasciare, ma anche di gratitudine. Messi ha pianto tante volte: per la gioia dei successi giovanili, per la frustrazione delle sconfitte, per la rabbia di sentirsi rifiutato. Stavolta le sue lacrime sembravano leggere, come piume, cariche di malinconia eppure libere.

Il risultato sportivo è passato in secondo piano. L’Argentina di Scaloni è già qualificata al Mondiale 2026 con numeri impressionanti: 38 punti in 17 partite, 31 gol fatti e appena 9 subiti. Il Venezuela di Batista non ha mai tirato in porta. Ma nulla contava davvero: lo stadio, il Paese, il mondo guardavano solo a lui. All’uomo che ha trasformato il calcio in arte, che ha reso normale l’impossibile, che ha incarnato il sogno di una nazione intera.

Ora resta l’incertezza. Messi non ha detto addio, ma ha aperto il dubbio. Ha rimandato la decisione al futuro, legandola alla condizione fisica e agli impegni con l’Inter Miami. Ma per il popolo argentino, l’idea che il Mondiale 2026 possa giocarsi senza di lui è quasi intollerabile. «Vedremo come mi sentirò», ha ripetuto. Parole che sanno di sospensione, ma che suonano come un commiato.

Forse ieri notte abbiamo assistito all’ultimo tango mondiale di Messi in casa sua. Un tango malinconico e felice, in cui ogni nota era un frammento della sua carriera, ogni passo un ricordo. Dal rosso di Budapest al trionfo di Doha, dai processi pubblici all’abbraccio del mondo intero. Tutto racchiuso in 90 minuti che resteranno nella memoria collettiva.

Se sarà davvero l’ultima, resta un’eredità che va oltre i numeri: 194 presenze, 114 gol, due Coppe America e un Mondiale. Ma soprattutto resta la sensazione che, con Messi, il calcio sia stato qualcosa di più. Non solo sport, ma racconto, poesia, bellezza. Un miracolo quotidiano che ieri ha illuminato ancora una volta il Monumental.

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