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Cronaca
23 Luglio 2025 - 09:09
Si è chiuso nel modo più tragico e inquietante il mistero della scomparsa di Momcilo “Momo” Bakal, piccolo imprenditore bosniaco residente a Leinì, svanito nel nulla nel luglio del 2016. Dopo nove anni di silenzi, false piste e ricerche infruttuose, il cerchio si è finalmente chiuso grazie all’instancabile lavoro dei Carabinieri del Reparto Operativo di Torino. Questa mattina è scattato l’arresto per un sessantaduenne di origine serba, già noto alle forze dell’ordine, accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e occultamento di cadavere.
Il corpo dell’imprenditore è stato ritrovato sepolto in un terreno isolato in località Villaretto, alle porte di Torino, lo scorso anno, durante una campagna di scavi condotta in modo riservato dagli investigatori dell’Arma. L’uomo arrestato questa mattina, secondo quanto emerso, avrebbe attirato Bakal con l’inganno in quel campo e lo avrebbe avvelenato, nascondendone poi il cadavere con l’obiettivo di simulare una fuga volontaria. E per anni, quella messa in scena ha funzionato.
Nel luglio 2016, Bakal era sparito nel nulla assieme alla sua autovettura. Nessun segnale, nessuna telefonata, nessuna traccia. Le ricerche si erano estese per settimane su tutto il territorio, coinvolgendo sommozzatori, unità cinofile e persino le squadre dei Vigili del Fuoco. Ma del piccolo imprenditore non era stato trovato nulla. Il sospetto di un allontanamento volontario aveva cominciato a serpeggiare. Forse era tornato nei Balcani, diceva qualcuno. Forse era stato vittima di un affare finito male. Ma tutto era rimasto nel vago.
La vera svolta è arrivata solo nel 2023, quando nuove tecnologie investigative e il confronto di profili genetici su database europei hanno riaperto il caso. Il DNA non dimentica. E incrociando i dati con quelli relativi ad altri reati, gli inquirenti sono tornati a concentrarsi su un uomo che già nel 2016 era stato ascoltato come persona informata dei fatti. Questa volta, però, qualcosa non tornava: alcune sue dichiarazioni risultavano contraddittorie, altri dettagli si rivelavano smentiti dalle prove. A quel punto è scattata la sorveglianza, le intercettazioni e l’analisi dei tabulati telefonici dell’epoca.
Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Ivrea, hanno portato i Carabinieri a localizzare un terreno in cui l’uomo arrestato aveva libero accesso. Un’area apparentemente anonima, a pochi chilometri dal luogo di lavoro e dall’abitazione di Bakal. Lì, tra luglio e agosto del 2024, sono iniziati gli scavi. E sotto metri di terra, in una fossa scavata con cura, è stato trovato un corpo scheletrito. I successivi accertamenti scientifici, tra cui quelli odontoiatrici e genetici, hanno confermato quello che tutti temevano: si trattava di Momcilo Bakal.
Le analisi condotte dai Ris hanno permesso di stabilire che l’imprenditore era stato ucciso con un veleno a rilascio lento, somministrato con metodo. Una morte pianificata, silenziosa, e architettata nei minimi dettagli per far pensare a una scomparsa volontaria. L’arrestato avrebbe poi occultato il corpo e provveduto a far sparire anche l’autovettura della vittima, rendendo ancora più difficile il lavoro degli inquirenti.
Il movente sarebbe da ricondurre a una lite per motivi economici. Disaccordi tra i due, affari non andati a buon fine, forse un credito mai restituito. Rapporti logorati nel tempo fino a sfociare, secondo l'accusa, in un omicidio premeditato. L’uomo arrestato avrebbe dunque agito da solo, freddamente, simulando poi il disinteresse totale alla vicenda, pur continuando a vivere nella stessa città.
L’arresto è stato eseguito nelle prime ore del mattino. L’uomo è stato notificato dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Ivrea, su richiesta della Procura, ed è stato trasferito nel carcere torinese “Lorusso e Cutugno”. Nei suoi confronti vige, come previsto dalla legge, la presunzione di innocenza fino a eventuale sentenza definitiva di condanna.
Per la famiglia di Momo Bakal, finisce l’incubo dell’attesa, ma inizia il dolore definitivo della verità. Dopo nove anni di speranze, smentite, false piste e incertezze, oggi sanno che il loro congiunto è stato ucciso e nascosto sotto terra, mentre si parlava di fuga volontaria. Gli inquirenti continueranno a indagare per stabilire se l’uomo arrestato abbia avuto complici, se qualcuno abbia taciuto o coperto la sua fuga, o se davvero sia riuscito a mantenere il segreto da solo per quasi un decennio.
Nel frattempo, resta da capire dove sia finita l’auto della vittima, mai ritrovata. Un dettaglio che potrebbe aprire nuovi scenari e, forse, nuovi nomi.
Una vita spezzata per soldi. Un corpo nascosto per anni sotto terra. E una giustizia che, pur tardi, ha ritrovato la strada
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