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09 Maggio 2025 - 14:54
Il mistero di Bakal: nove anni dopo, nessuna traccia dell'uomo scomparso in Canavese
Un cadavere senza volto. Un'identità che forse non conosceremo mai. E un vecchio mistero che riaffiora, duro a morire. Sono passati trentuno giorni da quando, in un cascinale abbandonato tra Leini e Volpiano, sono stati trovati dei resti umani in avanzato stato di decomposizione. Un corpo quasi saponificato, irriconoscibile. Senza documenti. Senza volto. Senza nome.
Le indagini si sono subito concentrate su una possibilità: che si trattasse di un senzatetto, probabilmente irregolare sul territorio, morto in solitudine. Nessuna denuncia di scomparsa. Nessuna corrispondenza nel database del DNA. L’ipotesi è che quel corpo resterà anonimo per sempre. Un’altra ombra nel buio delle migliaia di storie irrisolte d’Italia.
Ma proprio questo ritrovamento ha riaperto una ferita mai rimarginata, quella di Momcilo Bakal, detto Momo, imprenditore bosniaco scomparso nel nulla a fine luglio del 2016. L’ultimo segnale del suo cellulare lo colloca alla Falchera, quartiere alla periferia di Torino. Poi, il silenzio.
Un articolo di giornale del 2016
«Ci sentiamo dopo, sono impegnato», fu l’ultimo messaggio inviato alla moglie Anna Rosa Comodari, il 24 luglio. Da allora, nessuna notizia. Nessuna traccia. Solo ipotesi, sospetti, indagini. E un’intera famiglia che non si è mai rassegnata.
Bakal aveva fondato una piccola impresa di commercio di legname con sede in via Fornacino a Leini. Ma la sua vita imprenditoriale si intrecciava con un passato ingombrante: ex militare bosniaco, con legami ambigui e contatti borderline. Non era nuovo agli ambienti della malavita, e questo lo rendeva vulnerabile. Facile bersaglio per regolamenti di conti.
Nel 2019 sembrava esserci una svolta: un 23enne serbo, interrogato a lungo dalla Procura di Ivrea, ammise di aver utilizzato le carte di credito di Bakal per oltre 5.000 euro di prelievi, anche all’estero. Ma giurò di non sapere nulla sulla sua scomparsa. Troppo poco per arrivare alla verità.
E così, oggi come allora, il caso Bakal resta sospeso. Nessun corpo. Nessuna confessione. Nessuna certezza. Solo interrogativi.
Oggi, nel 2025, a nove anni dalla sparizione, quel cadavere muto tra i rovi di via Roveglia Ruffini riporta in primo piano il gelo dell’attesa, la disperazione dei familiari e l’impotenza della giustizia. Non è Bakal, forse. Ma è un altro uomo dimenticato, in una terra che da decenni fa i conti con 37.000 persone scomparse.
E allora la domanda resta: che fine ha fatto Momcilo Bakal?
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