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Cronaca

Mirela, sorella dell'impresario ucciso: "Ecco chi era veramente Fatmir"

Partito dall'Albania a soli 20 anni con una valigia di sogni, con il suo lavoro era riuscito ad aiutare l'intera famiglia

C'è una data che Mirela Ara non potrà mai dimenticare. Il 20 settembre. Quella che doveva essere una giornata di speranza, di attesa, di festa, si è trasformata nell'ultimo giorno di vita di suo fratello Fatmir. Una settimana prima, Fatmir, che stava scontando una pena ai domiciliari, le aveva promesso che sarebbe tornato a casa, per riunirsi con la sua famiglia e celebrare insieme la fine della sua condanna. Un futuro di possibilità e di riscatto, che però non è mai arrivato.

Mirela lo racconta con una voce che fatica a trattenere l’emozione, con gli occhi che riflettono la perdita di un uomo che, nonostante il suo passato, non meritava di vedere la sua vita spezzata in modo così violento. "Gli mancava solo una settimana. Era ai domiciliari. Ci aveva promesso che il 20 sarebbe venuto da noi, per festeggiare insieme la fine della pena", dice Mirela, la sorella di Fatmir, una donna che non ha mai smesso di lottare per la giustizia di suo fratello.

Fatmir Ara era un padre, un marito, un uomo che stava pagando i suoi debiti con la giustizia e che presto sarebbe tornato in libertà. La sua esistenza si basava sull'obiettivo di dare un futuro migliore ai suoi quattro figli, avuti con due diverse mogli, che oggi si trovano senza padre, privati dell’amore e della protezione di un uomo che, malgrado tutto, aveva cercato sempre di essere presente per loro.

Era arrivato in Italia a 20 anni. Dall'Albania era partito con un carico di sogni e la speranza di creare un futuro migliore per se stesso e per la sua famiglia. "Eravamo poveri - racconta Mirela -, ma siamo cresciuti nell'amore e nel rispetto di tutti, senza mai fare del male ad alcuno. Fatmir era un grandissimo lavoratore. Non si fermava mai. Aveva aiutato tutti noi. Nel 2000 aveva realizzato il suo più grande sogno: quella casa casa costruita con le sue stesse casi a Mathi. Ci aveva lavorato su giorno e notte, risparmiando ogni centesimo. Era un risparmiatore perché pensava al futuro dei suoi figli. Voleva che studiassero e che stessero bene. Fatmir era una roccia per me e un punto di riferimento per tutta la famiglia".

"Non era un bandito, non era un criminale. Era solo un uomo che cercava di scontare il suo passato. Se aveva un debito con la giustizia, l'aveva pagato. E per questo dovevamo festeggiare, dovevamo essere felici", racconta Mirela, con una tristezza che trapela dalla sua voce, ma anche con una forza che solo una sorella può avere.

Purtroppo, quel 20 settembre non è mai arrivato. Fatmir è stato brutalmente ucciso in un boschetto di San Carlo Canavese il 2 settembre 2022, una manciata di giorni prima. Cinque colpi di lupara, uno dopo l'altro, a spezzare il filo della sua vita. Una morte atroce, che ha annientato non solo lui, ma anche tutta la sua famiglia, sua moglie, i suoi figli, e soprattutto Mirela, per la quale "Miri" era tutto.

"Non si può dimenticare, non si può superare una perdita del genere", continua Mirela, mentre le lacrime cominciano a scendere. "Non solo per la morte di mio fratello, ma per la brutalità con cui è stato trattato. L'hanno gettato via come fosse un rifiuto, come se non fosse mai stato nulla. La crudeltà di come è stato ucciso, la violenza con cui hanno gettato il suo corpo tra i rovi, mi strazia ogni giorno. E' stato trattato come un sacco di immondizia."

Mirela, che ha seguito ogni udienza in tribunale, ogni passo del processo, non si è mai arresa nel cercare giustizia per suo fratello. Ma quella giustizia, purtroppo, non riporterà mai indietro Fatmir. Non riporterà mai indietro l’amore che avrebbe potuto ancora dare ai suoi figli, la presenza che avrebbe potuto continuare a essere per la sua famiglia.

"Non li posso perdonare. Sono dei mostri!", dice Mirela, parlando di Davide Osella Ghena, della sorella Barbara e di Andrea Fagnoni, tutti accusati a vario titolo dell'omicidio di suo fratello. "Non posso perdonarlo perché ha distrutto una vita, una famiglia, una speranza. E per cosa? Per un piano folle, per una violenza che non ha alcuna giustificazione." La sua voce si alza di intensità, mentre l'emozione che ha accumulato in mesi di lotta per la giustizia prende il sopravvento.

Le parole di Mirela sono un urlo silenzioso contro una società che troppo spesso dimentica le vittime, che fa passare in secondo piano il dolore delle famiglie, che tende a relegare le storie di vita a una mera cronaca di fatti. Ma la sua battaglia non si ferma. La sua è una lotta per la memoria, per la dignità di un uomo che non doveva essere giudicato solo per il suo passato, ma per la persona che era veramente.

"Fatmir - dice con fermezza - meritava di vivere, di abbracciare ancora i suoi figli, di tornare a casa. E la nostra lotta per la giustizia è anche per loro, per i suoi bambini che oggi si trovano senza padre, per sua moglie che ha perso l’uomo che amava. Noi non possiamo permettere che questa morte vada nel dimenticatoio".

Piange quando pensa ai suoi nipoti: "I piccoli chiedevano continuamente quando sarebbe tornato dal lavoro il papà. Per Natale hanno chiesto solo una cosa: di riavere indietro il padre. Il loro dolore è qualcosa di indescrivibile e vederli così è straziante".

Mirela guarda l'orologio e, come ogni giorno, ripensa a quella promessa che suo fratello le aveva fatto: "Il 20 sarei venuto a festeggiare con voi." Una promessa che non si realizzerà mai. Ma c'è qualcosa che Mirela non dimenticherà mai: il ricordo di Fatmir, l'uomo che stava cercando di rimettersi in gioco, di dare un senso a una vita segnata dalle difficoltà, ma anche la speranza di un futuro migliore.

"Non smetterò mai di lottare per lui", conclude, mentre una nuova lacrima le scivola sulla guancia. "Perché Fatmir, qualunque cosa sia successo prima, era un uomo che meritava di vivere."

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